A pugni nudi

– Combattere fino alla morte. Amare fino alle ossa. –

 

Jason è tornato nella sua città natale e cerca di fare soldi nell’unico modo che conosce: un combattimento illegale di MMA, le arti marziali miste. Pugni nudi. Praticamente niente regole. Tutto quello che deve fare è… perdere.

I motociclisti del club dei Rabid Mongrels scommettono contro di lui e si aspettano di fare un mucchio di quattrini, ma quando Jason vede tra il pubblico la sua cotta del liceo non può sopportare l’idea di perdere. Tutto quello che vuole è che Hyde si accorga di lui. Otterrà più di quello che si aspettava, quando Hyde si rivela essere il presidente dei Rabid Mongrels, che adesso vogliono il suo sangue.

Per sopravvivere Jason dovrà fare un patto con il diavolo biondo. Non importa quanto Hyde possa essere manipolatore e vizioso, è un sogno bagnato e oscuro che ha preso vita, e Jason non riesce a tenere le mani a posto. Ben presto, il desiderio autodistruttivo che prova per Hyde diventa una pericolosa ossessione che porta Jason negli angoli più dimenticati della sua anima.


Temi: club di motociclisti fuorilegge, attività criminali, abusi, problemi di orientamento sessuale, seconda possibilità, da nemici ad amanti, prima volta, ritorno a casa, famiglia alternativa, ricatto

Genere: M/M dark romance, suspense, dramma

Lunghezza: ~ 34.000 parole

Combatti o muori. Era quello che gli aveva insegnato suo padre. Ma per suo padre contavano solo i vincenti, e quella sera non sarebbe stato Jason a vincere. Quella sera era solo una questione di soldi. Qualcosa che suo padre amava quasi quanto il potere.

Il sangue gli pulsava nelle orecchie, mentre beveva dalla bottiglia dell’acqua che sapeva di rame. Le urla della folla attorno a lui parevano le grida di battaglia di cannibali assetati di sangue, ma le loro voci erano solo un rumore di sottofondo nello spazio minuscolo di quel sotterraneo in centro. Jason respirò a fondo, stringendo e riaprendo i pugni mentre guardava il suo avversario dall’altro lato della gabbia. Anche se non era sicuro che “avversario” fosse la parola giusta, in una situazione in cui il match era stato truccato.

Lo chiamavano Titan, e il soprannome era decisamente adatto a qualcuno così grosso e così brutto, ma in un vero combattimento non sarebbe stato una gran sfida. La massa e la forza da sole non erano abbastanza, e se Jason avesse cercato di vincere a quel punto Titan avrebbe sudato sangue come un maiale al macello. Ma la vita richiedeva soldi per l’affitto, il cibo, e una birra ogni tanto, e non era certo un combattimento clandestino a poter danneggiare le sue future aspettative di lavoro. Se mai ne avesse avute, tanto per cominciare. Tutto quello che voleva in quel momento era stabilirsi di nuovo nella sua città natale di Southport, Washington, che guarda caso grazie al porto e all’indulgenza delle forze di polizia era il centro delle attività illegali della zona. Il club di motociclisti locale, i Rabid Mongrels, aveva organizzato il combattimento, e per tirar fuori certe cose dovevano essere in ottimi rapporti con la polizia.

Mentre Titan gli si avvicinava, sentì una certa soddisfazione per il fatto di infrangere una regola che suo padre gli aveva piantato in testa. Era padrone di se stesso, e avrebbe fatto quello che voleva, anche se quella voce nel retro del cervello era pronta a urlargli contro per il fatto che non stava giocando con le regole dei veri uomini. L’odore di Titan strisciò verso di lui centimetro dopo centimetro e quella faccia sfregiata dall’acne si tese, ma quando Jason guardò dietro di lui, pronto a prendere gli ultimi colpi, sentì la mente svuotarsi.

La sagoma pallida di un viso familiare emerse dallo sfondo buio come un faro, splendendo attraverso lo stordimento dell’incontro e il dolore delle nocche sanguinanti, emergendo da un passato molto più oscuro del presente. Hyde lo fissava dall’altro lato di quella stanza minuscola, con i capelli biondi scompigliati, gli occhi socchiusi e la bocca sensuale che inspirava il fumo della sigaretta. Era perfino più bello di quanto non fosse stato al liceo; gli ultimi dieci anni avevano aggiunto definizione ai suoi lineamenti.

Il pugno in faccia lo sbilanciò e gli fece scricchiolare la mandibola. Fu come se qualcuno avesse premuto Play su un lettore MP3 che si era fermato. Il mondo era di nuovo rumoroso e malvagio. Certo, Jason era tornato nella sua città, ma l’ultima cosa che si aspettava era di vedere l’uomo che gli aveva fatto capire fin troppo chiaramente il suo orientamento sessuale. Non che lui avesse mai fatto niente al riguardo, ma non era disposto a perdere davanti a Hyde.

«Fanculo i soldi,» mormorò tra sé e sé attraverso il paradenti, e tornò verso Titan con una piroetta, colpendogli il lato della mandibola con un cazzotto che gli riverberò fino al gomito.

La folla gli rumoreggiava attorno, allo stesso ritmo del sangue che gli montava precipitosamente alla testa. Titan cercò di agganciarlo ma lui si allontanò di un passo, solo per rifilargli un altro cazzotto tremendo alla mandibola e spedirlo contro la rete metallica.

«Figlio di puttana,» mormorò Titan con la bocca piena di sangue, caricandolo di nuovo. Ma dai suoi movimenti lenti e confusi, era chiaro che Jason aveva ancora del vantaggio per via dell’ultimo colpo.

Tutto quello a cui riusciva a pensare lui era la vergogna che Hyde lo vedesse perdere. La sua vita poteva anche essere una merda, ma c’era una cosa in cui era bravo, ed era combattere. Una capacità che poteva sfoggiare di fronte all’oggetto delle sue fantasie adolescenziali. Ma quando intravide di nuovo il suo bel viso dietro Titan tutti i suoi sensi si frammentarono, lasciando un punto cieco che permise all’altro di tirargli un pugno nelle costole.

Barcollò all’indietro con l’aria che usciva a forza dai polmoni, stringendo i pugni. Le bende sulle mani e i polsi erano già inzuppate, e anche con la mente annebbiata dal dolore sentiva quei passi da gigante avvicinarsi a lui sul tappeto.

Tirò su i pugni. Combatti o muori. Non importava quanto gli ci sarebbe voluto, non avrebbe perso. Contrasse i muscoli e schivò qualche pugno, riuscendo a piazzare un colpo al fianco. Il combattimento non stava andando da nessuna parte, così decise di rischiare tutto. Non bloccò il pugno seguente; ma quando Titan per sferrarlo gli lasciò un’apertura lui era pronto, e mise tutta la sua forza nel colpire il mento di quello stronzo. Titan cadde a terra con un urlo strozzato, ma il suo piano andò di traverso quando gli afferrò una gamba e lo fece cadere sulla schiena con un tonfo.

Di riflesso, Jason contrasse i muscoli sotto quella bestia d’uomo che lo stava schiacciando a terra. Il sudore di Titan era acre e gli aggredì il naso come se fosse del maledetto mentolo, ma almeno gli schiarì la mente abbastanza perché allontanasse la testa da quel pugno enorme, che si schiantò sul tappeto nel punto in cui c’era stato il suo naso. Titan aveva chiaramente capito che l’accordo era saltato, e i suoi occhi bruciavano di furia.

Jason non era disposto ad arrendersi. Vincere o morire. A volte, quando erano in palestra, Hyde lo aveva guardato, per cui forse sarebbe stato colpito da quanto era migliorato. Fu invaso dalla rabbia quando si rese conto che Titan lo aveva inchiodato a terra con tutto il suo peso, e quel bastardo riuscì comunque a tirargli un altro pugno in faccia.

Aveva il naso proprio sopra il suo, il paradenti che sporgeva dalle labbra ammaccate, e l’umidità che Jason sentiva sul mento doveva essere la sua saliva. Si sentì attraversare da uno spasmo di disgusto. Non si sarebbe lasciato fottere da quel cane schifoso. Il suo corpo prese il sopravvento, lasciando il cervello a ronzare di rabbia silenziosa. Sputò via il paradenti e morse la carne viva che aveva sopra. L’urlo confuso di Titan gli fece quasi saltare i timpani ma continuò a mordere, stringendo le mascelle come un pitbull che stesse combattendo per la sua vita. Ogni volta che la sua vittima cercava di allontanarsi, a lui si riempiva la bocca di quel sapore pungente e salato, con l’aggiunta della barba ispida contro la lingua.

Le grida tutt’attorno erano così forti che non riusciva nemmeno a sentire i propri pensieri. Tutto quello che c’era era carne, sangue, e adesso anche osso, e le sue mascelle si chiusero su un frammento della guancia di Titan. L’altro era distratto, troppo occupato a urlare. Per quanto quello stronzo cercasse di allontanarsi, Jason riuscì a bloccarlo con le gambe e cominciò a pestarlo in faccia.

Non era sicuro di quando Titan avesse smesso di lottare, ma a un certo punto si rese conto che il combattimento era terminato. Le luci brillavano dal soffitto, e lui era lì, sul tappeto, con un tizio stretto fra le gambe, i battiti del cuore sincronizzati, e nessun altro suono a rivaleggiare con quello.

Si tolse di dosso Titan e si alzò, con la folla stranamente silenziosa. Solo allora si ricordò di sputare il pezzo di guancia. Si guardò attorno disperatamente, in cerca di Hyde. Lo aveva visto vincere? Lo aveva visto?

Forse aveva perso l’orientamento mentre combatteva e in qualche modo non riusciva a trovare la direzione giusta, ma non vedeva quel viso familiare da nessuna parte. Il giudice lo stava fissando dalla sua postazione, in uno degli angoli della gabbia, assieme alla sua assistente, che aveva gli occhi accesi di desiderio come se quel finale animalesco avesse avviato uno strano processo nel suo cervello. Aveva il respiro affannato e giocherellava con un grosso filo di perle che erano l’unica copertura del suo seno. Diede un colpetto di gomito al giudice, che fece immediatamente un passo avanti, come se quel tocco avesse interrotto un incantesimo. Quell’ometto gli prese la mano e la sollevò senza guardarlo negli occhi.

«Il vincitore di oggi!»

Jason azzardò un sorriso, ma quasi nessuno lo acclamò, così se lo levò dalla faccia assieme al sangue di Titan. Quando gli cadde lo sguardo a bordo del ring, dove c’era l’uomo con cui aveva fatto l’accordo, la realtà gli piombò addosso, tagliente come il sapore di sangue nella sua bocca.

La barba scura non riusciva a mitigare lo sguardo omicida di quegli occhi grigio acciaio. Mimò delle parole in silenzio, e a Jason vennero i sudori freddi quando si rese conto che erano: “Sei morto”.

Senza prendersi nemmeno un secondo per pensare si precipitò verso l’altro lato della gabbia, e poi fuori. La folla si divise davanti a lui, lasciando un passaggio per il pazzo cannibale.

Una donna ben poco vestita traballò su dei mostruosi tacchi a spillo, e senza nessuno a sorreggerla finì a terra in una palla, strillando, mentre Jason la saltava e correva fuori dalle doppie porte, per poi salire a perdifiato la scala di metallo, la sua unica via per la libertà. All’improvviso, essere due piani sotto terra non era più così divertente. Aveva bisogno di aria. E ne aveva bisogno subito. Come aveva potuto perdere la testa in quel modo? Hyde non era nemmeno disponibile… Si era sposato durante l’ultimo anno di scuola, cazzo, e al diploma aveva già un bambino.

Jason imprecò sottovoce mentre aggrediva la prima rampa, seguito dalle urla di qualcuno. Le scale rimbombarono, mentre gli inseguitori arrivavano più vicino, una massa di nero e grigio pronta a farlo a pezzi se solo ne avesse avuto la possibilità. Aveva davvero ucciso Titan? Cazzo, forse lo aveva fatto.

Costringere i muscoli a lavorare a piena potenza, dopo cinque round estenuanti, sembrava un’impresa impossibile, eppure riuscì ad accelerare e piombò nella cucina del ristorante greco, che faceva da copertura per gli affari che si tenevano sotto. Oltrepassò uno dei cuochi, che lasciò cadere la padella con uno strillo, ma tutto quello che Jason sentì furono delle goccioline bollenti sull’avambraccio.

Corse verso l’uscita di emergenza senza guardarsi indietro. La notte buia e profumata di sale lo inghiottì in un vicolo stretto tra edifici senza finestre.

«Torna qui, figlio di puttana!» gridò qualcuno dietro di lui, ma Jason non aveva intenzione di ubbidire a quell’ordine. Forse era davvero pazzo e semplicemente non se n’era mai accorto prima? Aveva vissuto ai margini della società troppo lungo per esserne sicuro.

Corse lungo il vicolo, superando alla cieca i cassonetti. Poteva sentire il rumore del traffico e il miagolio dei gatti randagi, ma niente era vivido come gli uomini pronti a dargli la caccia come a un cinghiale in uno stupido film fantasy. Inciampò in qualcosa e corse ancora, con il piede impigliato in un sacchetto di plastica, rovesciando spazzatura a ogni passo.

«Cazzo, cazzo, cazzo,» piagnucolò tra sé e sé, quando arrivò in un vicolo cieco. Picchiò i palmi delle mani contro il muro. Era alto almeno quattro metri. Era tutto lì. Nuota o affoga. Combatti o muori.

Si voltò e sollevò i pugni. Non aveva intenzione di lasciarsi abbattere senza dare il meglio.

Con gli occhi che ormai si erano adattati al buio, vide chiaramente che aveva tre uomini contro. Il cuore gli batteva furiosamente contro le costole, ma si rifiutò di fare marcia indietro.

«Tu vieni con noi!» ringhiò uno dei tre, ma l’intero gruppo si tenne a distanza.

Jason li valutò uno per uno. Tre uomini. Tutti che indossavano giubbotti di pelle con delle toppe, il che poteva voler dire una sola cosa: erano membri del club di motociclisti responsabile del combattimento. Forse avrebbe potuto recitare la parte del pazzo e spaventarli abbastanza da farli andare via? Guadagnarsi un po’ di tempo per lasciare la città?

«Sì? Volete prendermi?» chiese facendo due passi verso di loro. Sapeva di non dover mostrare la paura. La gente cerca sempre un segno di debolezza, pronta a mangiarti vivo se fai un errore.

Sorrise quando ciascuno di loro diede segno di voler arretrare. Nessuno voleva farsi mordere da un pitbull rabbioso come lui. Avevano visto che cosa aveva fatto a un uomo con tutta una folla a guardarli, e nessuno di loro voleva scoprire di che cosa fosse capace una volta messo all’angolo.

«Hai infranto gli accordi, stronzo!»

«Volete mettermi alla prova? Vedere quanto sono fuori di testa?» sibilò, facendo un altro passo verso di loro, a pugni alzati. Snudò i denti, che erano di sicuro insanguinati. Riusciva ancora a sentire il sapore del sangue di Titan, e gli si accapponava la pelle per la voglia di sentirne di più. Forse non sarebbe riuscito a stenderli tutti insieme, ma era pronto a vendere cara la pelle.

Un forte tonfo gli fece cambiare idea di colpo quando si rese conto che c’era qualcuno dietro di lui, ma prima che potesse anche solo pensare di ammaccare il naso di quel tizio gli si serrarono le mandibole e ogni muscolo del corpo gli si irrigidì come legno. Pensava di aver urlato, mentre cadeva irrevocabilmente verso il terreno, ma non poteva essere sicuro di niente, dopo che quel calore infernale gli aveva strappato la carne come pinze ardenti.

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