A qualunque costo – Coffin Nails MC

— Nel crimine non c’è posto per i cuori teneri. —

 

Fantasma. Non è membro dei Coffin Nails. Non è più medico. Non è gay.

Luca. È stato costretto a piegarsi, ma non si è spezzato. Vuole restare con Fantasma. A qualunque costo.

 

Fantasma impara a caro prezzo che le persone incontrate su internet non sempre sono chi dicono di essere. Dopo cinque anni di frequentazione online, lui e “Zara” sono diventati inseparabili. Lei gli è rimasta accanto nei momenti belli e in quelli brutti. Lui l’ha sostenuta e consolata quando il fidanzato violento la riduceva in lacrime.

“Zara” è Quella Giusta e, nonostante gli amici gli diano del folle, Fantasma vuole chiederle di sposarlo.

Purtroppo, però, viene fuori che “Zara” è Luca, e Luca è un maschio. Eppure è la stessa persona dagli occhioni scuri e con un disperato bisogno d’aiuto che Fantasma ha imparato ad amare, e per questo finisce per farsi coinvolgere fino al collo.

Solo che il cosiddetto “fidanzato” non è soltanto violento: è un trafficante di droga, un mafioso siciliano, un uomo spietato e pericoloso. Per salvare la persona che ama e che gli ha sconvolto il cuore, Fantasma è costretto a fare un patto con il Coffin Nails Motorcycle Club, da cui si è sempre tenuto a distanza. E quando questa vita all’insegna della violenza diventerà troppo difficile da sopportare, forse sarà lui ad aver bisogno di Luca.

 


ATTENZIONE Contenuti espliciti: sesso, parolacce, violenza, descrizione di abusi fisici.

Temi: centauri fuorilegge, crimine organizzato, ferite emotive, false identità, conquista dell’indipendenza, difficoltà col proprio orientamento sessuale, mafia, disturbo post-traumatico da stress.

Genere: gay romance, suspance, erotico

Lunghezza: 97 000 parole

 

«Scommetto che ha una gamba di legno» ridacchiò Denti, dandogli un colpetto nelle costole.

«Oppure pesa come una balena» aggiunse Milk, scrutando incuriosito il lussuoso ristorante giapponese sull’altro lato della strada.

Fantasma sospirò, tanto nervoso da avere i palmi sudati. «Non me ne importa niente se è grassa, se ha l’acne o che ne so. Sposerò questa ragazza».

Denti alzò gli occhi al cielo e gli raddrizzò la giacca del completo. «Sei davvero sicuro che sia una ragazza? Per quanto ne sai, potrebbe essere una vecchia. Le hai visto solo gli occhi in webcam, e per quanto? Quattro secondi?»

Milk corrugò la fronte. «Le vecchie non giocano ai videogame».

«Però hanno un sacco di tempo libero». Denti fece spallucce e si appoggiò alla moto; era minaccioso come sempre, col giubbotto e i pantaloni di pelle e i lunghi capelli scompigliati intorno allo splendido viso. Persino la barba, che ora riceveva assidue cure giornaliere, appariva un po’ trasandata dopo le nove ore di viaggio da Detroit a New York City.

Fantasma inspirò a fondo, sforzandosi di ignorare quei commenti. Conosceva Zara da cinque anni e sapeva che era Quella Giusta. Gli era rimasta accanto quando aveva perso la licenza di medico e quando gli avevano sparato in Siria. Pazienza se abitava dall’altra parte dell’Atlantico. Fantasma era innamorato e ora avrebbe concretizzato questa loro relazione, trasferendola al mondo reale. L’anello scelto con cura gli bruciava nella tasca con la stessa intensità della sua ansia. Era l’occasione che aveva sempre aspettato. Zara sarebbe rimasta a New York solamente due giorni. Era la prima visita negli Stati Uniti e Fantasma non si sarebbe lasciato scappare l’occasione di toccare i suoi lunghi capelli scuri, di passare le dita su quella pelle color caramello. Era come se l’intero universo lo stesse spingendo a farla sua.

«Siete solo gelosi» disse e, non appena il semaforo divenne verde, si avviò verso il ristorante con i crampi allo stomaco.

«Ehi, cercavamo solo di ridimensionarti le aspettative. La conosci da quanto, cinque anni? E si è sempre rifiutata di fare una videochiamata?» chiese Milk, seguendolo con un ghigno da ebete.

«E poi, hai detto che è fidanzata» aggiunse Denti, per la decima volta in quella giornata.

Fantasma sbuffò. Era vero, Zara aveva un fidanzato: uno stronzo che la picchiava e la sfruttava, con cui rimaneva soltanto perché lui l’aiutava con i genitori malati. Zara poteva fare a meno di quel coglione. Ci avrebbe pensato Fantasma a lei. In qualche modo. Si sarebbe inventato qualcosa.

Si fermò di fronte al ristorante e si girò verso gli amici. Sperava che Zara non dovesse vedere Milk, perché quel giorno l’uomo aveva i capelli biondi sporchi e unti, e Fantasma ci teneva a fare una buona impressione. Il giorno prima si era fatto sistemare i capelli dal ragazzo di Denti. Barba rasata al minimo, una spuntatina alla chioma che si faceva ribelle, una colonia di marca e aveva persino concesso a Lucky di ritoccargli le sopracciglia. Certo, Zara l’aveva già visto in webcam, ma questo primo incontro di persona doveva lasciarla a bocca aperta.

Tirò fuori il cellulare e mostrò loro la foto che si era impostato come sfondo. «Il fidanzato non le lascia fare videochiamate. Non volevo si mettesse nei guai per colpa mia. Ma è uno schianto e non mi importa come è cambiata rispetto a questa foto». Sempre se era cambiata. Fra sé, Fantasma sperava proprio di no. Nella foto sembrava un maschiaccio dall’aria incredibilmente sexy, coi capelli neri lunghi fino alle spalle, gli occhioni marroni e i polsi snelli che spuntavano da sotto le maniche arrotolate della camicia.

«Io ti auguro che somigli almeno un po’ alla ragazza della foto, ma se così non fosse, beh, almeno ti passerà questa cotta». Milk fece spallucce mentre si dirigevano verso l’entrata. Sbirciò all’interno dell’ingresso bianco pieno di piante in vaso.

Fantasma sentiva il cuore battergli talmente forte che temeva gli uscisse dal petto da un momento all’altro. Non c’era traccia di Zara. Forse avevano ragione i suoi amici. Forse non somigliava per niente alla ragazza della foto. Ma lui le aveva mandato un braccialetto dalla Siria, un oggetto graziosissimo di onice e cuoio, col fermaglio d’argento, e lei gli aveva detto che lo portava sempre. Gli aveva detto che l’onice era la sua pietra preferita e che non le piacevano i gioielli troppo raffinati, per questo lui aveva scelto qualcosa che potesse adattarsi al suo stile. Per la proposta aveva scelto un anello d’onice che si abbinasse col braccialetto, e questa scelta insolita rifletteva la loro relazione.

Ora doveva solo guardarsi intorno e trovare la ragazza col braccialetto che aveva inviato all’indirizzo di un’amica, in caso il fidanzato di Zara scoprisse quella tresca. E poi le avrebbe chiesto di sposarla, anche a costo di far scoppiare un putiferio. Si era portato apposta Denti e Milk, come rinforzi, perché era probabile che con lei ci fosse anche quello stronzo manesco del ragazzo.

«Andiamo» disse Fantasma.

Milk fece un verso infelice. «‘Sto posto è troppo lussuoso, costerà un occhio della testa. Non ho abbastanza soldi per entrare, specie con un nuovo marmocchio in arrivo».

Fantasma alzò gli occhi al cielo. «Chiudi quella fogna, tanto pago io».

«Ah, beh, in tal caso…» Milk fu il primo ad affrettarsi per i pochi gradini che precedevano l’entrata.

«Ehi, Milk!» gridò Denti, incrociando le braccia. «Per ora aspettiamo qui, d’accordo? Altrimenti rischiamo di farle paura».

Milk si accigliò e si morse un labbro. «E va bene».

Denti indicò la porta, che rifletteva la luce del sole. «Va’ dentro, prima di inzuppare di sudore quella camicia».

Fantasma prese fiato. Aveva sperato che entrassero insieme a lui, ma in effetti facendosi avanti con due membri del Coffin Nails Motorcycle Club, con tanto di toppe sul giubbotto, rischiava di non fare una buona prima impressione. Spiccava già abbastanza da solo, con la pelle chiara e i capelli talmente biondi da sembrare bianchi.

Si incamminò per le scale immaginando Zara in abito da sposa. Se avesse scelto il bianco, sarebbe stato un contrasto pazzesco rispetto alla pelle olivastra.

A giudicare dalla scelta del ristorante, il ragazzo di Zara doveva avere un sacco di soldi. L’arredamento non era propriamente giapponese, ma alcuni elementi – come una serie di pannelli di legno sul lato – evocavano l’immagine di una casa dalle pareti scorrevoli. Il soffitto era nero, colore che, insieme al marrone rossiccio dei quadri, predominava nell’ambiente moderno eppure curiosamente intimo.

Fantasma sedette a un tavolino vuoto accanto a un divisorio ispirato al bambù, ma più simile a una scultura moderna. I bastoni tuboidali si ergevano alti, laccati di vernice nera lucente. Servivano a separare la stanza in spazi minori, ma gli avrebbero anche consentito di spiare gli altri clienti fra le fessure. Era ancora presto per la cena, perciò non c’erano così tante persone. Fantasma si guardò intorno sempre più frenetico, in cerca del viso familiare.

Si soffermò brevemente sui bellissimi lineamenti di un giovane che sedeva su uno sgabello insieme a due uomini d’affari di mezza età, ma subito fu attratto dalle risate acute poco lontano. Accanto alla finestra c’era un gruppo di ragazze che chiacchieravano mangiando sushi, ma da quanto poté vedere, nessuna somigliava a Zara. Però poteva essersi tinta i capelli – era un dettaglio che cambiava di molto l’aspetto delle persone.

Oppure potrebbe averti mentito e non essere nemmeno a New York, gli sussurrò una vocina dal cuore. Avrebbe voluto dire che si era fatto tutto quel viaggio per niente. I jeans nuovi, la giacca elegante che non gli si addiceva per niente ma su cui sua madre aveva insistito, tutto inutile. Per impegnare il tempo, ordinò un succo dal prezzo ridicolo e nel frattempo tirò fuori il telefono. Il fidanzato di Zara era talmente geloso che non potevano nemmeno chattare normalmente, bensì erano costretti a comunicare tramite l’app del gioco di fantascienza a cui giocavano online. Era così che si erano conosciuti, perciò il gioco serbava una marea di bei ricordi. Fece il login e cliccò sull’avatar del personaggio di Zara, la splendida mercenaria col talento per i computer.

“Ehilà! Sei ancora al ristorante?”

Lei rispose nel giro di un minuto: “Sì e sto morendo di noia. LOL. Tu che fai?”

Fantasma era tentato di dirle del succo che stava bevendo, ma invece di scoprire le carte, doveva farsi rivelare qualche informazione sul tavolo a cui sedeva lei. Magari così avrebbe capito dov’era. Era venuto lì solo perché lei gli aveva linkato il menù del ristorante. “Avevo un attimo libero. Ho fame, fammi vedere cosa stai mangiando in quel posto di lusso.”

Col cuore in gola, scrutò la folla da un buco nel divisorio. Perché erano tutti impegnati a giocare al cellulare invece di parlare con i propri compagni? Sarebbe stato molto più facile, per lui, se la gente avesse chiacchierato coi propri commensali. Osservò attentamente le ragazze, ma nessuna sembrava intenta a fotografare il proprio piatto. In compenso il bel giovane si mise a scattare una foto del pasto, senz’altro per postarla su Instagram, ma a Fantasma non interessava. Gli sarebbe toccato mettersi a girare fra i tavoli confrontando i piatti?

Gli arrivò una foto. Era un piatto rosso quadrato con degli involtini di verdura e una salsa scura. Fantasma sollevò la testa per guardarsi meglio intorno. Si accigliò alla vista del piatto di fronte al giovane, e lo studiò meglio. Da dov’era, capì che si trattava di un piatto simile a quello della foto, ma poteva benissimo essere una coinciden… Il cuore smise di battergli quando sul braccio del giovane scivolò un braccialetto con una pietra d’onice.

In quel momento si rese conto che il tipo aveva una carnagione simile a quella della Zara della foto: pelle olivastra, capelli neri e mossi che superavano le spalle e occhi scuri. Peccato che, a parte quello, non le somigliasse per niente. Non aveva niente di tenero, bensì lineamenti decisi e spalle larghe coperte da una camicia color caffè dalle maniche rimboccate. Per quanto fosse avvenente, di sicuro non era la ragazza della foto.

Fantasma si alzò sulle gambe di gelatina. Cinque anni. Cinque anni, cazzo. Quindi aveva fatto sesso online con un uomo. Più volte. Non riusciva a respirare e l’anello nella tasca gli bruciava come fosse acido. Come poteva essere così stupido? Si avviò al tavolo come in un incubo. Un incubo da cui presto si sarebbe svegliato.

Essendo il giovane impegnato al cellulare, fu uno degli uomini di mezza età a notarlo per primo. Raddrizzò le spalle e lo guardò con sospetto, picchiettando le bacchette sul piatto.

«Posso aiutarla?» chiese con un forte accento.

“Zara”, o come si chiamava, sollevò gli occhi e il sorrisino che sfoggiava gli cadde dalle labbra come la neve dai rami in un giorno di sole. Dio, da vicino era ancora più bello, con le sopracciglia importanti e un bel naso dritto. Schiuse le labbra, ma non emise un suono e si limitò a fissarlo con occhi sgranati.

Fantasma ignorò l’uomo di mezza età e guardò dritto nelle pupille della persona che conosceva così bene, eppure non conosceva affatto. «Come hai potuto farmi questo?» riuscì a dire, la voce strozzata.

“Zara” lasciò cadere il cellulare sul tavolo e impallidì al punto da apparire anemico.

L’uomo in completo elegante che prima aveva parlato con Fantasma si sfiorò i capelli grigi e inclinò la testa perplesso. «Luca, conosci quest’uomo?»

Luca inspirò talmente bruscamente che la camicia gli aderì al petto affatto femminile. «C-ci penso io» borbottò, alzandosi col sostegno del tavolo. Era alto quanto Fantasma e non c’era niente di minuto in lui, nessuna curva aggraziata. E oh, Dio, la sua voce. Bassa, melodiosa, con un lieve accento italiano.

Fantasma fece appello al suo coraggio, cercando di trasformare in rabbia la disperazione, come avrebbe fatto un vero uomo. «E come cazzo credi di “pensarci”, eh? E tu» si rivolse all’uomo dai capelli grigi. «Stanne fuori. Non sono affari tuoi».

Sulle labbra dell’uomo comparve un ghigno strano, un po’ da lupo, e Luca si allontanò dal tavolo lanciando a lui e all’altro tipo un sorriso talmente forzato che Fantasma si chiese se un pugno sul naso gli avrebbe fatto cadere in terra il viso come una maschera spaccata.

Luca si affrettò verso l’uscita e lui lo seguì, da pecorella ingenua qual era. Qual era stato per cinque anni. Cinque meravigliosi anni pieni di gioia, dolore, sofferenza, curiosità, trepidazione, tristezza, ma sempre condivisi con… questa persona. Non poteva crederci.

Luca percorse il corridoio e si avvicinò ai bagni, così che dalla sala non potessero vederli. Si fermò accanto a un largo vaso e diede le spalle alle pareti nere, gli occhi scuri spalancati ma concentrati su di lui. C’era una strana vulnerabilità nel suo sguardo, la bocca voluttuosa piena e schiusa come quella di una ragazza, ma bastò un’occhiata all’ombra di barba sul suo viso per uccidere tutti i tentativi di Fantasma di trovare Zara in quei lineamenti.

«Che cosa ci fai qui?» chiese Luca con la sua voce profonda, come se fosse un suo diritto fare domande.

«Chi sei?» sibilò Fantasma, allargando le braccia. E perché sei così bello che mi viene la pelle d’oca? Non voleva fare una scenata, ma sentiva le budella talmente contratte che aveva voglia di vomitare.

Luca aveva il labbro inferiore un poco più piccolo del superiore, ma era comunque impossibile non vederlo tremare. «Sono Zara… ci siamo conosciuti cinque anni fa su Age of Endless» disse, guardandolo dritto in faccia. Quegli occhi celavano tanta intensità, come se Luca stesse cercando di imprimersi nel cervello la sua immagine.

«Perciò la storia del fidanzato pazzo era solo una scusa per non farti vedere in webcam…» sussurrò Fantasma, incapace di alzare la voce ora che avvertiva una crepa nel cuore. Nonostante le prese in giro degli amici, non si era mai fermato a valutare una possibilità come questa.

Luca sospirò e si scostò i capelli, il disagio evidente nei suoi gesti. «No. Non mentirei mai su una cosa del genere. Tutto quello che ti ho detto corrisponde al vero, ed è per questo che non puoi stare qui. Non ce l’ho nemmeno più, la webcam. Me l’ha fatta togliere dal computer».

«Sono qui perché dovevo vederti. Scoprire se eri vera». Fantasma scosse la testa. Ovvio che no.

Luca si tormentò un labbro e chinò la testa, stringendosi un braccio muscoloso con la mano. «Mi dispiace tanto. Una volta cominciato a chattare, non sono più riuscito a smettere. Ma te l’avevo detto che non ero single. Non saresti dovuto venire».

«“Single”?» Fantasma sentì qualcosa di oscuro e tenebroso strisciargli fuori dal cuore e cominciò ad ansimare. «Mi hai detto che il tuo ragazzo era un mostro e che volevi nasconderti fra le mie braccia».

Luca deglutì a stento, spingendo con forza la schiena contro il muro. Gli occhi sembravano fragili e smarriti. «È vero. Ma non sono la persona che volevi vedere e di certo non vorrai stringermi fra le braccia». Il respiro gli si mozzò e gli occhi gli andarono alla porta che conduceva alla sala. «Si insospettirà se ci metto troppo».

Cosa doveva fare Fantasma? Non era pronto a rinunciare a questo rapporto. Luca era Zara, e al tempo stesso non lo era. Si leccò le labbra, incapace di trovare le parole che esprimessero quello che voleva dire. «Quindi… non vuoi stare con lui? Ti fa del male?»

Luca sospirò tremante e sbatté più volte le palpebre. «Non posso andarmene» mormorò, inchiodandolo con uno sguardo color cioccolata. Quelle lunghe ciglia gli davano alla testa.

«Che cos’è, un gioco?» Fantasma inspirò a fondo per contrastare il prurito agli occhi.

Luca si mosse. Esitò. Poi con le lunghe dita gli afferrò il colletto della camicia e lo attirò a sé. Il cervello di Fantasma doveva essersi spento, perché non riuscì a trovare la forza di opporsi quando la sua pelle sfiorò il viso appena ispido di Luca. Le loro labbra si incontrarono, facendo esplodere una scintilla di elettricità che si diffuse nel corpo di Fantasma e gli risuonò nelle orecchie come fuochi d’artificio.

Smise di respirare. Il corpo di Luca era talmente caldo che sembrava surreale. Ci mise alcuni secondi di troppo a ricordare che erano in pubblico e che Luca non era una ragazza e non aveva niente di femminile. Si scostò, senza neanche sapere se sarebbe riuscito a respirare.

«Non è finita qui» disse subito, ubriaco del sapore di quelle labbra. Incespicò fino alla porta e uscì dal ristorante.

Fuori il sole era talmente luminoso che dovette chiudere gli occhi, ma prima di poter fare mezzo passo, sentì una mano forte stringergli la spalla. Col viso puntato verso l’asfalto bollente, aprì gli occhi e sbatté le palpebre alla vista della toppa sul giubbotto di Milk.

«Porca miseria, che schifo» ridacchiò l’uomo, scrollandolo con forza.

«Oh, taci» gemette Fantasma, ancora incapace di capire cosa fosse capitato. «È… complicato». Aveva la gola talmente stretta che faticava a parlare.

Denti appoggiò la schiena al muro, le braccia robuste incrociate sul petto. Scosse la testa. «Non volevo dirtelo, ma un po’ lo sospettavo, che fosse un maschio».

«Perché, anche tu ti diverti a fingerti donna online? Hai mai convinto qualcuno a scoparti?» chiese Milk. Si allontanò quando Denti sollevò una mano per colpirlo.

«Imbecille».

Fantasma si passò le dita fra i capelli, voltandosi in direzione dell’ingresso bianco, ma Luca non era più in vista. «Che vuol dire che lo sospettavi? Come si può pensare una cosa del genere?» Non riusciva a levarsi dalla testa quegli occhioni scuri. Sembravano carichi di una sincerità, una disperazione così immense.

Denti allargò le braccia. «Suvvia, altrimenti perché rifiutarsi di videochattare per tutto questo tempo? Vi siete sentiti per cinque anni».

Milk fece un ghigno e lo spintonò amichevolmente contro il muro. «Vuoi della candeggina per levarti il sapore dalla bocca? È stato parecchio brutale!»

Denti aggrottò la fronte. «Vuoi che gli diamo una lezione, allo stronzetto?»

«No… cioè… è la stessa persona». Fantasma si nascose il viso fra le mani, ma c’era la voce di Milk a riportarlo sulla Terra.

«In realtà ha il cazzo, perciò direi di no. Senza offesa, Denti, ma non è mica giusto che un finocchio ti combini una cosa del genere». Poi, in un sussurro: «Gliel’avevi fatta vedere la mercanzia?»

Denti lo fulminò con lo sguardo, come volesse farlo tacere con questa semplice minaccia, ma Milk non era tipo da cogliere certe sottigliezze. Rise e gli diede una gomitata. «Ohhh, mi sa proprio di sì. Oh mio Dio, e così ‘sto tipo s’è fatto le seghe guardandoti».

«Milk, chiudi quella fogna» ringhiò Denti, sempre più infastidito dalle battute idiote. Fantasma si era sempre chiesto come facesse un uomo gay come Denti a sopportare l’omofobia onnipresente anche nell’ambiente relativamente tollerante dei Coffin Nails.

Milk aprì le braccia. «Eddài, Denti! I gay sono molto più fissati coi piselli delle ragazze. Se ci avessi chattato io, con un maschio, me ne sarei accorto. Scommetto che t’ha tipo chiesto quanto ce l’avevi lungo».

«Sta’ zitto!» Fantasma gli diede uno spintone. Era in momenti come questo che rimpiangeva di non avere altri amici oltre ai Nails.

Denti sospirò. «Ma ti ha mentito per cinque anni. Devi fargli imparare la lezione, o lo rifarà con qualcun altro».

Fantasma prese fiato e attraversò la strada, diretto alla sua Harley bianca. «Hai ragione. So io cosa dobbiamo fare. Questa storia non è finita».

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