Tristo. Assassino professionista. Dio del sesso. In materia di uomini, ha gusti molto particolari.
Misha. Senza gambe. Terrorizzato dal mondo. Ha esaurito da un pezzo la fiducia nel prossimo.
Tristo è un killer assetato di sangue e la cosa non gli dispiace affatto. Gay in un mondo di centauri fuorilegge, è pronto a disfarsi di qualunque omofobo si azzardi a mancargli di rispetto. Vive di sesso occasionale, distruzione e spargimenti di sangue.
Tuttavia, dentro di sé, cova da sempre una brama inespressa che non può trovare appagamento. Quando per caso si ritrova a salvare il ragazzo più sexy mai visto in circolazione, capisce che non può lasciarlo andare; anche se questo vuol dire soffocare un uccellino dalle ali spezzate che incomincia appena a uscire dal nido.
Quando un uomo mascherato e coperto di sangue lo salva da una lunga prigionia, Misha non sa se ringraziarlo o pugnalarlo e tentare la fuga. Tristo non è il tipo di persona che accetta rifiuti, e il ragazzo teme di essere più in pericolo fra le sue grinfie che durante tutti quegli anni all’insegna di umiliazioni e violenze sessuali.
Per quanto spaventoso, però, Tristo è anche un animale di indubbio fascino e, quando scopre il potere che esercita su di lui, Misha si domanda se non valga la pena di provare a domarlo. Peccato che costruire un futuro insieme sia come mettere in piedi un castello di carte, se alle calcagna si ha un pazzo come Zero, il signore del crimine che ha già distrutto una volta la sua vita.
Basterà la ferocia del centauro assassino a sterminare i mostri del passato di Misha?
Temi: centauri fuorilegge, crimine organizzato, assassini, personaggi disabili (arti amputati), gusti sessuali particolari, vendetta, redenzione, paura, rapimenti, ferite da guarire, accenni ad abusi subiti in passato.
Genere: M/M, dark romance, erotico, thriller
Lunghezza: ~101,000 parole (autoconclusivo)
ATTENZIONE: Il libro contiene scene di sesso esplicite e argomenti potenzialmente tabù, fra cui parolacce, violenze e torture. Per lettori maturi.
Quando la prima esplosione fece tremare il terreno, Misha rimase talmente sorpreso che si immobilizzò dietro la scrivania. Intrappolato in una stanza chiusa dall’esterno e senza finestre, non aveva modo di sapere cosa stesse accadendo. Prese fiato e spinse la sedia con le rotelline fino alla porta. Temeva di svegliare Gary e farlo arrabbiare, ma quando un’altra esplosione fece vibrare le pareti che lo circondavano, batté i pugni contro la porta. Gary doveva essere sveglio per forza.
«Gary? C’è il terremoto? Posso stare con te in salotto?» gridò, ma non ebbe risposta.
Il cuore accelerò quando sentì un suono in lontananza che pareva di mortaretti. Qualunque fosse la causa del disordine, forse gli avrebbe permesso di uscire dall’appartamento. Ma come poteva scappare se non sapeva nemmeno cosa lo aspettava dietro la porta a chiusura elettronica? Misha era bravo con la carrozzina. Riusciva a muoversi bene, nonostante le gambe che terminavano in moncherini subito sotto il ginocchio. L’assenza di finestre suggeriva che l’alloggio fosse sotterraneo. Poteva usare l’ascensore, e tecnicamente sapeva anche fare le scale, ma se poi voleva proseguire, avrebbe dovuto trascinarsi dietro la carrozzina a ogni gradino.
Mentre il cervello analizzava possibili vie di fuga, proponendogli visioni di una vita nuova, migliore, che valesse la pena di vivere, esplosero di nuovo i mortaretti, solo che ora sembravano piuttosto degli spari. Misha scese dalla sedia e prese una coperta dal letto, compito più arduo del previsto dato che aveva le dita rigide e tremanti. Come un automa si spostò sotto la scrivania, schiacciandosi contro il legno, come se, desiderandolo con la giusta intensità, questo potesse assorbirlo. Non importava avesse ventidue anni. In quel momento era di nuovo un bambino, e niente poteva salvarlo dai mostri impregnati di alcol che si riversavano nel corridoio.
Si coprì con la coperta e cercò di respirare piano, lasciando che nei polmoni gli entrasse poca aria per volta. Voleva essere invisibile, fondersi con i mobili e sparire dalla vista del mostro. Avrebbe preferito che entrasse Gary e scoppiasse a ridere, dicendogli che era un cretino a spaventarsi tanto per dei petardi, piuttosto che correre il rischio di affrontare un pericolo vero.
Tremò quando udì un suono sordo, seguito da uno scalpiccio, e sì, stavolta erano proprio spari. Si rannicchiò, per sembrare il più piccolo possibile, mentre il pulsare delle vene nel collo spaccava il secondo in frazioni. Udì altri spari e poi più niente, solo un silenzio sinistro.
Rimase in ascolto: c’erano ancora esplosioni e spari in sottofondo, ma era sicuro di sentire qualcosa muoversi dietro la porta della stanzetta che era diventata tutto il suo mondo. I peli del corpo gli si rizzarono, in attesa del rumore.
Serrò le dita a pugno. Non gli veniva in mente proprio niente che potesse usare come arma. La stanza era l’immagine di quello che normalmente si pensava dovesse essere l’antro di un adolescente. C’erano poster di band russe alle pareti, trofei di plastica per il nuoto – cosa particolarmente patetica, visto che Misha non poteva più nuotare – una scrivania, un computer senza accesso a internet e svariati libri, ma nessun oggetto acuminato o nemmeno una scopa che potesse spezzare e usare come pugnale. E se avessero sparato a Gary e l’uomo non avesse più potuto proteggerlo? E se l’avesse rapito qualcun altro? E se questa persona avesse voluto… fargli di nuovo del male? Gary non era certo un uomo perfetto, ma almeno Misha lo conosceva e sapeva cosa aspettarsi.
Il cuore gli si fermò quando vide la maniglia muoversi. Stava arrivando qualcuno. Qualcuno avrebbe fatto irruzione e lo avrebbe trovato privo di difese. Se solo avesse avuto qualcosa di vetro, anziché di plastica, si sarebbe tagliato i polsi prima che il mostro potesse raggiungerlo, ma in quella situazione al massimo poteva sbattere la testa contro il pavimento e temere il peggio. Il rumore della serratura fu come un pugno in pancia, e Misha scrutò attraverso un buchino nella coperta, senza fiato, la porta che si apriva lentamente. La prima cosa che vide furono pesanti stivali da assalto, che sbattevano sul pavimento. L’uomo era vestito di nero e aveva una pistola in mano.
Furono pochi secondi ma parvero durare un’eternità, mentre l’uomo camminava lentamente nella piccola stanza. Poi si fermò di colpo e inspirò a fondo.
«Sento l’odore della paura» sussurrò, con un che di gioioso nella voce.
L’uomo era teso, concentrato, ma il suo viso era mostruoso al punto che Misha pensò che fosse la morta stessa. Solo dopo qualche istante capì che portava una maschera che gli trasformava il volto in un teschio, con un paio di labbra sottili e ben definite che emergevano da un’apertura che rivelava un mento liscio.
Gli occhi larghi e vacui del teschio sembravano assorbire la luce, e l’incapacità di prevedere cosa cercasse l’uomo lo terrorizzava. Questi, però, rilassò i muscoli possenti, e abbassò la pistola.
Misha sentì le labbra tremare e dovette morderle per non battere i denti e fare rumore. Nonostante tutti gli orrori che aveva vissuto, non voleva morire. Forse un giorno sarebbe riuscito a rendersi utile al punto che Gary gli avrebbe concesso di uscire all’esterno. Se solo avesse potuto smettere di respirare, la coperta lo avrebbe nascosto. La stanza era buia, ora che non c’era la lampada che Gary portava per girare, perciò era possibile che l’aggressore se ne andasse senza notarlo.
Non aveva ancora finito di pensarlo che quegli occhi così simili a buchi neri si rivolsero verso di lui, e l’uomo si abbassò lentamente sul ginocchio. A Misha venne la pelle d’oca. Dopo un silenzio che fu un’agonia, l’uomo parlò.
«Ehi, uccellino» disse. La sua voce sembrava cioccolato fuso e intenso, certo non quello che Misha si aspettava da uno che celava il proprio volto dietro una maschera.
Non poteva scappare da nessuna parte, ma si strinse nella coperta e si schiacciò contro una gamba della scrivania, come se questa potesse trasformarsi in un portale per un’altra dimensione e inghiottirlo. Non gli piacevano gli sconosciuti. Portavano solo dolore e infelicità. E quest’ospite inaspettato, che era arrivato armato, sembrava incarnare tutti i suoi incubi. «Ti prego, non portarmi via» sussurrò Misha, gli occhi fissi e sgranati. «Posso restare qui, davvero. Chiedi a Gary».
L’uomo inclinò la testa e mosse le labbra ben fatte, pallide contro il tessuto nero della maschera. «Chi è Gary?»
«I-il m-mio ra-ra-ra-ragazzo». Ed ecco, gli battevano i denti. Quando l’uomo si avvicinò Misha si premette contro la scrivania e vide, alla luce che proveniva dalla lampada sulla scrivania, che c’era una retina scura che copriva i buchi degli occhi.
«È lui che ti ha rinchiuso qui dentro?»
Misha si morse le labbra fino a farle sanguinare. In quel momento gli venne un sospetto. E se fosse stata una prova per testare la sua lealtà? E se Gary avesse avuto intenzione di concedergli più libertà, ma prima avesse voluto verificare che Misha non lo tradisse appena allentato il guinzaglio?
«N-non…» Si leccò le labbra. Il respiro gli si fece affannoso, finché non iniziò ad ansimare, nel panico.
L’uomo mise la pistola in una fondina sotto il braccio e allungò una mano guantata di pelle. «Vieni fuori. Non ti farò del male».
Misha non gli prese la mano, ma lentamente si scostò la coperta dalla testa, sapendo che tanto non aveva scelta. «Gary lo sa che sei qui?» mormorò, la mente che schizzava in mille direzioni diverse. Stando alle sue esperienze passate, il fatto che l’uomo portasse una maschera voleva dire che era qui per fargli cose orribili di fronte alla telecamera senza il rischio di essere identificato. Non gli avrebbe mai neppure detto il suo nome. «Ti prego, digli che non voglio andare». Quella stanzetta umida non era certo il paradiso, ma chissà quale inferno lo attendeva al di fuori. Preferiva restare lì che rischiare altre sofferenze.
L’uomo si avvicinò e trattenne il fiato. «Andrey? Sei davvero tu?»
Male. L’uomo conosceva il nome che usava nei porno. Ormai era così vicino che la metà superiore del suo corpo era infilata sotto la scrivania, e Misha sentiva l’odore del suo sudore, mischiato a una colonia intensa che gli serrava la gola, minacciando di soffocarlo. «Sì. Chi sei tu? Ti ha mandato Gary? Lo hai pagato?»
L’uomo ringhiò e, per un istante, la sua voce si fece vibrante. «Non conosco nessun Gary». Inspirò a fondo, il pomo d’Adamo che si alzava e abbassava. «Lo sapevo che questa stanza mi era familiare, ma… non dovresti essere in Russia? Che posto è questo?»
Misha teneva d’occhio ogni suo movimento. La sua sopravvivenza si basava sulla sua capacità di interpretare correttamente la situazione. «È finta. Per evitare gli stalker… Chi sei tu?» A pensarci meglio, si rese conto che erano due anni che non vedeva gente nuova. Erano sempre solo lui e Gary, e a volte alcuni degli amici di Gary o l’estetista a domicilio che gli faceva ceretta e unghie. Senza presentazioni, lui non sapeva proprio come comportarsi.
L’uomo mascherato allungò una mano fino al suo volto. Mentre il guanto morbido e liscio gli toccava la pelle, sentì che le dita guantate di pelle puzzavano di polvere da sparo e questo lo fece irrigidire ancora di più. «Sei così bello dal vivo».
«Sei venuto a uccidermi?» disse Misha, non riuscendo più a trattenere la domanda. L’uomo aveva fatto irruzione armato e sembrava una versione moderna del Tristo Mietitore, perciò quella pareva la cosa più logica. Doveva accertarsi che fosse quello giusto prima di piazzargli un proiettile nel cranio.
«No. Non lo farei mai. Prometto» disse l’uomo, sollevando una mano col mignolo teso.
Misha sapeva che non era bene fidarsi delle promesse, ma che valeva sempre la pena accettarle. Allacciò il mignolo a quello dell’uomo. Sembrava così surreale. «Grazie».
«Ora vieni fuori?» chiese l’altro, tirandogli gentilmente la mano.
«Sì, ma dobbiamo trovare Gary… non posso andare da nessuna parte senza il suo consenso». Misha distolse lo sguardo dal viso dell’uomo e strisciò fuori dalla coperta. Aveva i lunghissimi capelli sciolti, perché a Gary piacevano così, ma, date le circostanze, tirò fuori un elastico dalla tasca dei pantaloncini e raccolse le ciocche in una crocchia un po’ spettinata. Non riusciva a non pensare che per conoscere il suo nome da pornostar, quell’uomo doveva averlo visto in circostanze ben peggiori. Doveva stare calmo e mantenere un po’ di dignità.
Sollevò la testa, ma la domanda che voleva porre gli si spense sulle labbra quando si accorse che lo sconosciuto fissava i suoi orribili moncherini appena emersi da sotto la coperta. E poi l’orrore: la mano guantata dell’uomo si sporse e ne palpò uno. Misha strinse con tanta forza i denti da farsi male, e si immobilizzò. Mosse solo gli occhi, lanciando uno sguardo rapido all’inguine dell’uomo e al grosso gonfiore nei suoi pantaloni. Naturalmente, se conosceva il personaggio che Misha interpretava nel porno, doveva essere un feticista delle amputazioni. Si chiamavano “fan”, ma per quanto ne sapeva, l’unica cosa che apprezzavano erano i moncherini, non la persona che li sfoggiava. Misha non si sentiva mai a suo agio con loro, e ogni tocco sgradito lo faceva chiudere ancora di più in se stesso.
La manona gli massaggiò il moncherino, stringendolo gentilmente, come se fosse un gluteo sodo. Era tutto sbagliato, e nemmeno quattro anni passati ad accettare tutto con un sorriso finto potevano convincerlo del contrario.
«Sarai al sicuro con me» disse l’uomo, attirandolo a sé con una forza sorprendente.
Misha sgranò gli occhi quando fu costretto a guardare da vicino il teschio stampato sulla maschera dell’uomo, ma dietro la rete che tanto lo terrorizzava riuscì a scorgere un accenno degli occhi. Non sarebbe mai stato al sicuro, da nessuna parte, così come non lo era mai stato lì. Solo perché l’uomo era ben piantato, come fosse fatto di mattoni, non voleva dire che non fosse di carne e ossa, invulnerabile ai proiettili o alle motoseghe.
«Come ti chiami?» chiese Misha e afferrò il collo dell’uomo con un sussulto quando questi lo sollevò come se non pesasse niente.
Dalla gola dell’uomo emerse un ringhio, ma poi gli occhi su posarono su di lui e la mano gli strinse appena la coscia. «Tristo. E sono un tuo fan» disse, portandolo fuori dalla stanza in cui Misha aveva trascorso buona parte degli ultimi anni.
Nonostante il tocco dell’uomo fosse gentile, il desiderio che celava gli dava la nausea. Un fan? Che Tristo fosse uno stalker pazzo che voleva rapirlo per averlo tutto per sé? Dove lo avrebbe portato? Cosa gli avrebbe fatto?
Misha gli passò una mano sul petto e si accorse che il cuore dell’uomo batteva forte quanto il suo. «E così… guardi i miei video?» chiese, alla disperata ricerca di qualunque frammento di informazione.
L’uomo mascherato annuì, ignorando del tutto i suoni degli spari in sottofondo mentre entrava nel salotto di Gary. «Li guardo sempre. Sono io che ti ho mandato l’xbox alla casella postale. Ti è arrivata?» domandò, facendolo ondeggiare fra le sue braccia.
Misha rimase a bocca aperta. Non poteva credere alle sue orecchie, che fra l’altro erano in fiamme. Non aveva mai incontrato di persona uno degli iscritti al sito. «Sì… sì. Anche i giochi. Grazie» aggiunse subito, per non offenderlo. «Hai… fatto irruzione qua dentro?» Misha si guardò intorno alla luce bianca delle lampade. La tv giaceva ribaltata sul pavimento, e i frammenti di vetro di un vaso rotto erano sparsi sul tappeto come semini di sesamo sul pane.
«Sì» disse Tristo. «Mi dispiace averti spaventato, ma eri l’ultima persona che mi aspettavo di trovare».
Misha guardò il granito nero e l’acciaio della cucina moderna. L’assenza di Gary lo innervosiva sempre di più. Gary era l’unica persona che poteva frapporsi fra Misha e… questi altri.
«Chi ti aspettavi di trovare?»
Tristo tacque alcuni minuti mentre si avvicinava alla porta, che era tutta ritorta e sporca di nero. «I lupi che hanno in mano questo posto».
Misha stava per dire che non sapeva a chi si riferisse, ma quando Tristo raggiunse la porta, passò un’ultima volta in rassegna la stanza e scorse una sagoma familiare dietro il divano di pelle nera su cui Gary l’aveva scopato giusto la settimana scorsa.
Le dita dell’uomo si contrassero sul pavimento e lui gridò dall’orrore quando vide il suo viso insanguinato. Non era possibile. Tristo non era certo un poliziotto, perciò doveva essere venuto a prendere gli oggetti di valore. Misha gli mise una mano sul volto e gli sferrò un calcio all’addome col moncherino, nel tentativo di liberarsi. Non riusciva più a pensare a niente.
«Gary! Ti prego, non lasciare che mi portino via! Me l’avevi promesso! Mi avevi promesso che sarei stato solo tuo!»
Tristo cercò di tenerlo fermo, ma lui continuò a dibattersi finché non arrivò al pavimento. A quel punto Tristo lo lasciò andare e Misha si fiondò verso il corpo di Gary, che giaceva sulle assi lisce. Lo raggiunse gattonando su mani e ginocchia, ricordando a malapena di evitare il vetro sparso ovunque.
La voce di Tristo sembrava provenire da un’altra dimensione. «È morto. Non disturbarti».
«No!» protestò lui, ma quando si avvicinò alle ferite da proiettili, al sangue e alla puzza di piscio, non gli rimasero speranze. Anche le dita che si contraevano forse erano state solo un’illusione a cui si era aggrappato, perché il corpo ancora tiepido di Gary giaceva immobile. Aveva gli occhi spalancati, il sangue che aveva smesso di colare da un buco in mezzo alla fronte, la bocca era aperta e la lingua penzolava da un angolo. Misha aveva perso la sua ancora di salvezza.
Rabbrividì, lo sguardo incollato alle macchie rosse che gli facevano aderire al petto la sua maglietta di Star Wars preferita. Il suo cervello rifiutava di elaborare la situazione. Mentre Tristo si avvicinava, Misha prese fiato a si chinò su Gary nel disperato tentativo di guadagnare tempo. La puzza di urina e sudore era tremenda, ma d’istinto, Misha infilò la mano nella tasca davanti dei pantaloni dell’uomo senza farsi vedere. L’acciaio freddo della chiavetta da cui l’uomo non si separava mai fu uno shock per il suo corpo, ma la tirò fuori e abbracciò il cadavere. Per quanto disprezzabile fosse come persona, Gary lo aveva protetto da sofferenze più grandi. Forse avrebbe continuato a farlo, grazie alle informazioni sull’organizzazione senza nome che aveva in pugno la sua vita. E tuttavia, la vista di quegli occhi appannati rappresentava la fine di un’era.
Non gli sarebbe mancato il suo uccello che gli penetrava a forza la gola, o le sue mani che gli accarezzavano i moncherini mentre guardavano un film, ma sentiva già la mancanza della sicurezza che quel posto gli garantiva, perché sapeva qual era l’alternativa. Impossibile ignorare la presenza alle sue spalle.
«Era un uomo cattivo. Con me sarai più al sicuro» disse Tristo.
Misha artigliò con le dita la maglietta di Gary. L’unico posto dove sarebbe stato al sicuro era il fondo dell’oceano, con scarpe di cemento. «Aveva degli amici… magari potremmo trovarli, potrebbero…» Il respiro gli si fece troppo affannato per continuare a parlare. Era sicuro di trovarsi negli Stati Uniti, visto che quasi tutte le persone che vedeva – incluso ora Tristo – avevano accenti americani, ma a parte quello? Non aveva niente. Né i documenti, né denaro, né oggetti personali. E nemmeno le gambe, cazzo.
Tristo gli toccò una spalla. «Sei mai salito in groppa a nessuno? Dobbiamo uscire di qua alla svelta».
Misha deglutì e si chiese se portarlo in groppa non fosse una scusa per Tristo per sentire il suo uccello contro la schiena, ma una raffica assordante di spari lo spinse ad agire. Sollevò lo sguardo e annuì, tendendo con riluttanza le braccia verso il suo nuovo carceriere.
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