Dopo anni al servizio di uno strozzino, Robert ha chiuso con il sangue e la violenza. Tutto ciò che gli resta è un mucchio di denaro e una vita intera di rimpianti. Non c’è altra via d’uscita da quel tipo di lavoro se non dentro a un sacco per cadaveri.
Così, Robert decide di uccidersi.
Ma proprio la notte in cui decide di compiere il proprio destino, la sorte gli offre una possibilità di redenzione. Quando Robert salva un giovane e affascinante escort da una morte orribile, non ha idea di aver dato inizio a ben più che un estremo tentativo di provare che, dentro alla sua dura corazza, c’è un uomo onesto.
Incantevole, arguto e tutto sorrisi, Nathan è tutto ciò che Robert può sperare di sognare ed è anche pronto a cadere tra le braccia del suo burbero protettore. Robert, d’altro canto, non è mai stato con un uomo e dovrà prima combattere i propri demoni per poter accettare che l’unica cosa che desidera è fare suo Nathan.
Con il suo ex-capo alle calcagna, il tempo sta per scadere e Robert potrebbe non avere la possibilità di scegliere prima che sia troppo tardi. E, cosa più importante di tutte, Robert non si fermerà di fronte a niente per proteggere l’uomo che lo ha fatto sentire vivo di nuovo, l’unico che si frappone tra lui e l’abisso.
*
«Prima, non avevo mai pensato molto alla morte, ma l’ho fatto ieri. Pensavo che sarei morto.
In una fossa. Coperto di fango. Soffocato, sottoterra.
Ma, poi, sei arrivato tu a salvarmi.»
Argomenti: Da nemici ad amanti, protettore, crudeltà, omofobia, crimine, auto-scoperta, conflitti familiari, differenza di età, escort, odio per se stessi, prima volta, vendetta, in fuga.
Genere: Dark, crudo, contemporary romance.
Contenuto erotico: Bollente, sentimentale, scene esplicite.
Lunghezza: circa 90.000 parole (romanzo autoconclusivo, lieto fine)
Era la notte ideale per morire.
La luna piena da lassù era una sfocata palla di luce, visibile anche attraverso la nebbia che aleggiava sul vecchio cimitero. Il suo bagliore si disperdeva nell’aria umida, creando una sorta di muro di vetro opaco, che seguiva Robert mentre straparlava tra le lapidi con una bottiglia di whiskey in mano. Sopra di lui, gli alberi tendevano i propri rami, alcuni sfacciatamente neri contro il vibrante blu del cielo, quelli più lontani solo una tonalità più scura dello scenario nell’aria limpida. Era circondato da un vasto panorama, ma lui non riusciva a vederne molto, limitatosi a guardare a ciò che gli stava a pochi passi, come se stesse già camminando insieme ai fantasmi.
Il rimorso gli aveva messo un cappio intorno al collo, ma malgrado il viscerale desiderio che aumentava e lo strangolava, una parte di Robert desiderava avere ancora qualche altro minuto per godersi il liquore. Così assecondò quella spinta invisibile e abbandonò l’asfalto, lasciando la sicurezza di un percorso guidato. L’erba era soffice sotto ai suoi piedi, seppur scivolosa per l’umidità, mentre percorreva un leggero declivio verso una tomba isolata posta sotto a un albero morto.
Senza seguire una meta ben precisa, infilò una mano sotto al giubbotto di pelle per toccare il duro acciaio della propria arma da fuoco. Era ancora lì, carica e pronta all’uso, non appena la bottiglia fosse finita. Non aveva lasciato il proprio appartamento con un piano preciso, aveva solo sperato di attenuare il dolore, ma, sorso dopo sorso, gli si era schiarita la mente. Aveva solo bisogno di un altro po’ di coraggio liquido, prima di premere il grilletto.
Il freddo di quella tarda notte penetrò sotto al suo giubbotto, facendogli rimpiangere di aver dimenticato la sciarpa al bar in cui era stato prima, ma, alla fine, non importava poi così tanto. Era un accessorio costoso, di lana preziosa, quindi era meglio che potesse usarla qualcun altro, da quella sera in avanti. Non che da lì a un’ora il freddo avrebbe potuto farlo ammalare. Lo avrebbe aiutato l’alcol anche in quello.
A metà della bottiglia, la mente di Robert era totalmente offuscata; l’alcol aveva reso i suoi passi più pesanti e la sua testa più leggera in un modo molto piacevole, alleviando almeno un po’ i cupi pensieri che gli annebbiavano la mente. Prese un sorso dalla bottiglia e deglutì l’ottimo whisky che gli bruciò la lingua.
La luce della luna illuminava le tombe con un fascio lattiginoso, permettendogli di ammirare ogni angelo o croce di marmo come se fosse nella prestigiosa ala di un museo e non nell’ultima dimora di un volto sconosciuto. Peccato che per lui non ci fosse niente del genere. Okay. Dopotutto, morire non aveva niente a che fare con tombe eleganti.
L’ennesimo soffio di vento si infilò sotto al giubbotto di Robert, che prese un altro sorso di alcol per riscaldarsi. Per poco non inciampò in due figure che sembravano umane, sdraiate per terra, e strinse la bottiglia al petto, pensando, per un secondo, che fossero fatte di carne e sangue e non di pietra e cemento. Qualcuno avrebbe trovato così anche lui, il mattino dopo? Una sagoma scura facilmente confondibile con un tronco di legno o un mucchio di rifiuti gettati in un angolo?
E comunque perché stava perdendo tutto quel tempo? Non è che avesse proprio voglia di passeggiare ancora per molto in quel cimitero. Prima di quel momento, non aveva avuto molti problemi a premere il grilletto, ma, in effetti, non c’era mai stata la sua testa dall’altra parte della canna.
Si portò una mano sotto la giacca, sfiorando la sua fedele Glock. La presa, così familiare per la sua mano, gli diede sollievo. Non c’era motivo di esitare ancora, la pallottola destinata a lui non gli avrebbe fatto male. Avrebbe messo fine all’infelicità senza senso in cui si era trasformata la sua vita, sia per lui che per gli altri.
Rabbrividendo per il freddo, estrasse la pistola dalla fondina premendo la canna sulla propria guancia, solo per concedersi il lusso di pensare in santa pace e di godersi l’ultimo momento da solo.
Ma non era da solo.
Alcune voci interruppero il monotono ululare del vento, abbattendo le mura della sua solitudine, paragonabile a un sottile cristallo pronto a infrangersi all’accenno di un suono acuto. Strinse i denti e si appoggiò a una pietra tombale, circondandola con un braccio. Perché non riusciva a stare in pace, adesso che ne aveva così tanto bisogno?
Lentamente, alzò lo sguardo e notò delle deboli luci nella nebbia davanti a sé. Per un breve istante, desiderò allontanarsi in direzione opposta, per occuparsi di ciò che doveva fare fin da quando aveva lasciato il bar, ma forse una parte di lui voleva prolungare l’inevitabile perché, invece di fare la cosa più intelligente, si incamminò verso le luci soffuse che si muovevano nell’aria come gigantesche lucciole.
Da bambino pensava che la luna fosse un’enorme forma di formaggio, perché così gli aveva raccontato suo fratello Hank, che si era spinto fino al punto di dirgli che la luna si era formata grazie alla Via Lattea. Dopo aver scoperto che era una stronzata, aveva cospirato con Hank nel raccontare la stessa bugia al loro fratello minore. Era passato così tanto tempo da allora. All’epoca non era ancora stato allontanato dalla propria famiglia per essere un vero pezzo di merda.
Avvicinandosi ai rumori, la sua mente confusa lo spinse a considerare come sarebbe stato rinvenuto l’indomani il suo cadavere freddo. Aveva la barba vecchia di una settimana, i capelli scarmigliati e jeans strappati non per moda, ma perché si erano tagliati nel tentativo di scavalcare un cancello mentre era sbronzo. Sarebbe importato qualcosa, una volta che i vermi avessero iniziato a mangiargli il cervello? A loro non sarebbe interessato se non si era fatto la barba.
La sua mente iniziò a schiarirsi quando si rese conto che il suono ripetitivo a cui si stava avvicinando era quello di una pala conficcata nel terreno, più e più volte, e che ora si trovava nella parte monumentale del cimitero. La gente non veniva più seppellita lì.
Forse quelle persone erano… ladri?
Ondeggiò leggermente e si appoggiò a una lapide del tardo novecento, ascoltando con maggiore attenzione ciò che veniva detto. Non era ancora in grado di discernere le singole parole, ma Robert era sicuro che ci fossero tre voci distinte, tutte maschili e tutte con il medesimo accento del posto. Stavano forse provando a trafugare le ossa di una delle persone famose seppellite lì?
Ringhiò e si asciugò la fronte coperta di sudore, malgrado l’aria fredda. Sapeva che avrebbe dovuto dedicare la sua ultima notte alla contemplazione, piuttosto che a spiare degli svitati a caso, ma alla fine decise di non andarsene. Le gambe lo spinsero in avanti e strisciò tra le ombre nebbiose, nascondendosi dietro una lapide piuttosto alta, sforzandosi di vedere qualcosa nel buio. La bottiglia di whisky sembrava quasi calda tra le sue mani e, in quel preciso momento, anche la Glock lo era.
Nella nebbia, le tre figure avevano un aspetto inquietante, ombre senza faccia che usavano le loro pale in silenzio, con solo due torce posizionate per terra a illuminare una tomba, come per alleggerire l’atmosfera cupa. I raggi di luce sfocati lasciavano intravedere lampi di jeans, una camicia di flanella bianca e nera e una camicia elegante, ma sporca, ma non gli diedero modo di identificare gli uomini.
Non appena i tre avessero portato a termine il loro compito, qualsiasi esso fosse, Robert sarebbe rimasto a contemplare la terra ammucchiata sulle bare e, dopo, avrebbe usato un’unica pallottola, prima di cadere a terra e lasciarsi inghiottire dal vuoto. Ma per il momento, gli uomini erano ancora lì, inconsapevoli della sua presenza dietro a un leone di pietra, chinato sulla tomba di uno sconosciuto. Con la confusione in testa che cresceva, cadde sulle ginocchia e appoggiò la testa sull’animale di pietra. Anche il modo in cui il freddo stava diventando meno fastidioso a ogni sorso era inebriante, al punto che le palpebre gli stavano diventando pesanti.
Un grido soffocato lo strappò da quella piacevole letargia e lo obbligò ad alzare lo sguardo per ricercare la fonte di quel suono. Adesso c’era un gran mucchio di terra accanto a una delle tombe e tutti gli uomini avevano lasciato cadere le vanghe per afferrare un grande oggetto che Robert non aveva notato prima. Si era forse addormentato?
Prima di rendersi conto delle implicazioni il suo cervello si congelò in un silenzio stupito, quando l’enorme verme contenuto in quello che era un sacco o un sacco a pelo iniziò a dimenarsi così violentemente che uno degli uomini lo fece cadere.
Si udì un altro grido soffocato dall’interno del sacco e Robert odiò come quel suono lo stesse facendo tornare in sé, come se quel lamento in preda al panico avesse il potere di rimuovere l’etanolo dal suo sangue. Gli si mozzò il respiro e si chinò per nascondersi ancora di più dietro alla pietra tombale, mentre guardava la scena che gli si parava davanti agli occhi, tra la nebbia rischiarata dai raggi di luna.
I tre uomini, tutti forti e muscolosi, avevano scelto un bel posticino vicino a dei cespugli, in una parte isolata del cimitero. Nessuno si sarebbe insospettito per la mancanza di erba su quella particolare tomba e anche quella avrebbe potuto essere strategicamente nascosta semplicemente gettando un po’ di ghiaia o delle pietre sul terreno smosso di recente.
Robert fece una smorfia, quando uno degli uomini diede un calcio alla vittima insacchettata, mettendoci tutta la forza che aveva.
«Piantala,» ringhiò l’uomo.
Uno degli altri due estrasse una sigaretta e scosse la testa, mentre il bagliore arancione della brace gli illuminava il viso per mezzo secondo, prima di attenuarsi. «Hai firmato la tua condanna a morte quando hai pensato che derubare il signor Vogel fosse una buona idea.»
A Robert quasi sfuggì di mano la bottiglia quando sentì il nome. Gli era così familiare che il coroner ne avrebbe probabilmente trovato l’incisione sulle sue ossa, durante l’autopsia. Vogel era l’uomo che, moltissimi anni prima, gli aveva offerto una vita di lusso, o così gli era sembrato all’epoca, prima che tutto finisse nella merda e la terra stessa gli crollasse sotto i piedi, seppellendo tutto ciò che gli era stato caro.
Solo in quel momento si rese conto che le voci di quegli uomini gli suonavano vagamente familiari; erano tutti uomini come lui: delle radici che mantenevano ben saldo Vogel, permettendogli di allungare le mani su tutta la città, solo molto più giovani e affamati dell’approvazione del boss di quanto fosse stato lui. I tempi in cui compiva omicidi a sangue freddo erano finiti da un pezzo, anche se gli eventi degli ultimi tempi avevano messo in discussione tutto ciò che credeva di essere.
La nausea lo aggredì alla gola e strinse forte la mano sulla zampa posteriore del leone di pietra. Un sapore amaro si agitò dentro di lui, graffiandolo come pezzi di filo spinato, ma continuò a respirare e, in qualche modo, riuscì a trattenere il whisky e le poche noccioline che aveva mangiato al bar. Per anni, si era ripetuto che tutte le persone che aveva personalmente perseguitato per conto di Vogel se la fossero cercata. Si erano affidati a uno strozzino, avevano accettato le sue condizioni, quindi dovevano per forza aver messo in conto quale sarebbe stato il loro destino, se non fossero riusciti a pagarlo in tempo. Era anche arrivato al punto di dirsi che tutte quelle persone erano state la causa del proprio male per essersi immischiate con la malavita, ma la verità era che molti di loro erano stati mossi da semplice disperazione; molti di loro non avevano meritato la visita di Robert.
E, quella notte, nell’aldilà, avrebbero banchettato con la sua carne.
Ma non ancora. Se Robert doveva andarsene, magari l’ultima vittima di Vogel poteva sopravvivere, diventando qualcuno che, forse, avrebbe pensato a lui con affetto; come all’uomo che gli aveva salvato la vita.
Il sacco si mosse disperatamente, avvolgendosi intorno alla gamba dell’uomo che lo aveva appena calciato e il lamento stridulo che ne seguì gli fece ribollire il sangue nelle vene. Era forse un bambino? Una donna? Un uomo senza alcuna esperienza che aveva incontrato Vogel nel luogo e nel momento sbagliato?
Il suo ultimo lavoro risaliva solo alla settimana precedente e, per quanto ne sapeva Vogel, era stato eseguito come tutti gli altri. L’uomo non sapeva quanto Robert avesse imparato a detestare l’organizzazione che lo aveva reso ciò che era diventato, perché andarsene non era mai stata una scelta. Aveva visto troppi uomini provarci, per poi venire a sapere che i loro cadaveri erano stati ritrovati in qualche posto sperduto. Aveva finito per ingabbiare i propri sentimenti, andando avanti a testa bassa, mentre la sua pelle diventava gradualmente una corazza che niente riusciva a scalfire.
Fino al giorno precedente.
Strinse forte le dita intorno al collo della bottiglia, prese altri due lunghi sorsi ed estrasse la pistola. I suoi piedi lo condussero in avanti e nessuno si accorse di lui, poiché il vento soffocava il suono dei suoi passi. Di notte, in un vecchio cimitero chiuso, gli uomini di Vogel non avevano motivo di sospettare di essere osservati, e quella mancanza di giudizio sarebbe stata la loro rovina. Quella sera, Robert avrebbe potuto lasciare Vogel alle proprie condizioni, salvando l’ennesima vittima dell’uomo che lo aveva spinto a essere ciò che non avrebbe mai voluto diventare.
L’alcol era riuscito a annebbiargli la mente ma non poteva intaccare le sue qualità di tiratore; non aveva bevuto così tanto. Appoggiò con cura la pistola contro la testa del leone e premette il grilletto.
L’uomo che poco prima aveva così violentemente attaccato la vittima indifesa morì all’istante, un’ombra caduta nella nebbia.
Prima che l’altro potesse estrarre la pistola, Robert sparò di nuovo. E ancora.
Le orecchie gli fischiavano e il sacco che prima si contorceva si immobilizzò.
Robert fece una smorfia crudele quando il suo piede colpì qualcosa, facendolo inciampare. Salvando se stesso e la bottiglia, riuscì a rialzarsi e marciò verso la fossa appena scavata. Con gli occhi fissi sul corpo immobile nel sacco a pelo, si avvicinò, aiutandosi con un altro po’ di whisky nel tragitto. Era così buono sulla lingua… dolce, ma con un delicato retrogusto di legno.
Aveva quasi raggiunto il mucchio di terra rimossa dalla buca quando uno degli uomini di Vogel si mosse di scatto e Robert non esitò, sparandogli un’altra pallottola in testa. Questa volta era morto sul serio.
Prendendo una delle torce, esaminò con cura i cadaveri degli altri due, che ormai stavano già diventando freddi, il battito andato, così come il respiro. Conosceva i loro volti e non era dispiaciuto per la loro morte, anche se qualcun altro avrebbe potuto pensare la stessa cosa di lui. «Perché ti hanno preso?» chiese, strascicando un po’ le parole.
La persona intrappolata nel sacco a pelo sigillato si mosse leggermente, come se avesse voltato il viso verso la voce di Robert.
«Chi sei?» chiese titubante una voce maschile, con un accento particolare; gli battevano i denti, il che rendeva le sue parole confuse.
Robert si pizzicò la radice del naso, guardando i tre cadaveri e la fossa che, di certo, era il migliore epilogo possibile. Appoggiò la bottiglia per terra e spinse uno dei corpi più vicino alla buca, facendolo cadere all’interno con un tonfo sordo.
«Nessuno. Non sono nessuno. Tu chi sei?»
«Mi chiamo Nathan,» balbettò l’uomo. «Sei qui per… voglio dire… sono morti, Signor Nessuno?» La larva nel sacco a pelo si spinse verso Robert.
Si avvicinò alla vittima successiva, che finì nella fossa. «Più morti di così è impossibile. Scommetto che adesso ti senti un po’ più rilassato.»
«Sei… sbronzo?»
Robert sapeva che formulare frasi di senso compiuto con una lingua impastata come la sua era un compito difficile, ma che fosse sbronzo era evidente anche da ciò che stava dicendo. D’altro canto, Nathan aveva un accento che non riusciva a identificare. Chi cazzo era? E lui era poi così interessato a scoprirlo?
Era un accento piacevole, comunque. E aveva una bella voce.
«E anche se lo fossi? Non mi rende meno competente,» disse, avvicinandosi al terzo cadavere. Fece una smorfia quando la luce della luna illuminò la faccia dell’ultima vittima: lo conosceva abbastanza bene. Era ancora un novellino nell’organizzazione di Vogel, ma avevano bevuto insieme un paio di birre. Peccato, ma in fondo ognuno era responsabile delle proprie decisioni. Se le circostanze fossero state diverse, ci sarebbe stato lui, come cadavere, per terra.
Scosse la testa e, prendendolo per una gamba, lo trascinò verso la fossa.
«Oh, okay, mi spiace tanto. Non avrei dovuto saltare alle conclusioni. La verità è che non dovrei essere qui. Tutto questo è solo un terribile errore. Mi può lasciare andare adesso?» La tensione nella voce di Nathan era dolorosamente ovvia.
«A una condizione,» rispose, spingendo il corpo senza vita nella fossa. Sarebbero stati stretti lì dentro, ma ci si doveva accontentare.
«Okay, le sono già molto riconoscente in anticipo!»
Robert si passò una mano sulla faccia, vedendo il modo in cui il sacco a pelo si contorceva sull’erba.
«Mi aiuterai a seppellirli, dopotutto è solo colpa tua se è successo questo casino, quindi non ho nessuna intenzione di lavorare da solo,» borbottò, e afferrò ancora la sua bottiglia, contrariato da come l’afflusso di sangue gli rendesse la testa pesante mentre si chinava.
Il silenzio gli fece aggrottare la fronte. Quello stronzo era così pigro da prendere anche solo in considerazione l’idea di rifiutare la sua proposta?
«Okay, ti aiuterò,» mormorò poco convinto. «Sono… Quanto sono morti? Voglio dire… non ho mai visto nessuno morto, prima, perciò potrei anche vomitare.»
Robert gemette e si diresse verso il mucchio di terra, afferrò una delle pale dal suolo e ne spinse una grossa porzione nella fossa, coprendo parte dei corpi. Quel movimento repentino lo fece barcollare sull’orlo della buca, il cervello gli galleggiava nel cranio, ma riuscì a spostarsi indietro in tempo.
«Non li vedrai,» disse e scavò nel terreno, prima di avvicinarsi al sacco.
«Bene. Bene. Posso farcela.»
Robert si chinò lentamente verso l’uomo e osservò il tessuto muoversi al ritmo del suo respiro affannato. «Quanto devi a Vogel?» Aveva già visto così tante persone in quella posizione che, nella sua testa, quel ragazzo si dissolveva nella moltitudine di facce di tutti quelli che lo avevano preceduto.
Il tessuto si incollò al viso dello sconosciuto, e si tese in corrispondenza del naso. «Se tanto mi dà tanto, è lui che deve qualcosa a me! Ho solo eseguito i suoi ordini. Non faccio parte di quel mondo. Sono tutte bugie!»
«Che diavolo significa?» chiese, spingendo il corpo. Aveva la lingua secca e gemette quando si rese conto che la bottiglia era fuori dalla sua portata. Come aveva fatto quella notte a deragliare in modo così clamoroso?
Nathan rimase in silenzio per un po’. «Hai mai visto Spartacus? Hai presente la serie TV sui gladiatori?»
Robert aggrottò la fronte, facendosi indietro. «Non è che sei tu, quello sbronzo, adesso?»
«No, no… sono pulito da mesi, ormai.» Con sua grande sorpresa, Nathan strisciò verso di lui, così pericolosamente vicino alla fossa che Robert dovette frapporsi. «È solo che c’è questo gladiatore e, se hai visto la serie, mi chiedevo se ti fossi mai posto il problema se fosse gay o bisessuale. Giuro che il mio discorso ha un senso.»
Robert si passò una mano sul viso arrossato, massaggiandosi la pelle e lasciando che la barba incolta gli graffiasse i palmi.
«Stai cercando di dirmi che sei gay? No, perché questa informazione è di così vitale importanza in questo momento…»
Nathan inspirò a fondo. «Io… è la mia unica colpa, sai? Voglio dire, se non vuoi che qualcuno sappia che sei gay, non infilare il tuo uccello in un uomo, dico bene?»
Robert roteò gli occhi ed estrasse un coltellino a serramanico. Era buio e non aveva la minima intenzione di cercare la zip. Il sacco a pelo avrebbe raggiunto i suoi ex-colleghi sotto il mucchio di terra.
Perse l’equilibrio e cadde sulle ginocchia, invece di piegarsi e basta. Afferrando lo spesso tessuto, incise un grosso buco nel sacco a pelo.
«Hai fatto delle avances a uno degli uomini di Vogel?»
«No! Era lui che faceva delle avances a me! Sono stato per una settimana nella sua villa al lago. Pensavo avessimo dato vita a qualcosa di carino insieme, che gli piacessi davvero. Poi ha dato di matto ed è diventato uno psicopatico!» Grandi occhi blu osservavano Robert dal buco creatosi nel sacco a pelo. Era grazioso come una bambola di porcellana, ma il sangue che gli macchiava la pelle bianca sotto al naso gli ricordò che era decisamente un uomo in carne e ossa. Le sue labbra erano gonfie sotto alla macchia rossa, senza, tuttavia, renderlo meno attraente. Anzi, erano così carnose che Robert avrebbe voluto leccarle, morderle e separarle con la punta delle dita. Gli zigomi di Nathan erano qualcosa che si vedeva più spesso sui giornali, che nella vita vera, e la leggera fossetta ai lati delle labbra suggeriva che avesse sorriso parecchio prima che la vita lo portasse a quel punto.
Era un giocattolo gettato via da qualcuno che si era stancato di divertirsi con lui, ma per Robert era difficile immaginare come mai ci si potesse sbarazzare di una tale perla. Se questo ragazzo fosse diventato suo, avrebbe… Cosa? Cosa avrebbe fatto? Niente. Assolutamente niente. Perché Nathan non era il tipo di giocattolo che gli fosse concesso avere. Non era più un ragazzino e il suo autocontrollo non veniva mai meno.
Robert strappò il sacco, tirando forte da entrambi i lati del taglio e offrì a Nathan una mano. Nella luce soffusa, e ritornando a guardare gli incredibili occhi blu di Nathan, sembrava quasi lui, quello che implorava le sue attenzioni. «Quale villa?»
Nathan si drizzò, inginocchiandosi, facendo sì che il sacco a pelo gli scivolasse lungo il corpo. I suoi polsi erano legati insieme sul davanti con una corda. Indossava un abito così alla moda che, anche se aveva una manica quasi strappata, non avrebbe sfigurato in uno di quei servizi fotografici di tendenza in cui i modelli erano coperti di sangue da capo a piedi. «Quella di Don Vogel, lo conosci, no?»
Robert sbatté gli occhi. «Cosa? Quell’uomo non toccherebbe un gay neanche con un bastone. Forse ti riferisci a qualcun altro.»
Nathan roteò gli occhi. «Beh, di sicuro lui ha toccato me col suo bastone.»
Robert guardò quel viso attraente, nascosto da sangue, lividi e lunghi capelli sudati e sentì il petto stringersi. Nella sua testa, riusciva a vedere le mani di Vogel, con quei peli grigi sugli avambracci e una bella fede nuziale d’oro all’anulare, mentre sbottonavano la camicia di Nathan, lo spingevano sul letto, lo sollevavano a carponi abbassandogli i pantaloni del completo elegante, che gli stavano alla perfezione, rivelando la carne soda non ancora maltrattata. Era un pensiero che lo rivoltava. Ed era anche sbagliato pensarlo, ma Robert non poteva fare a meno di usare la propria immaginazione. Quel pensiero si era insinuato nella sua mente fradicia di alcol e lo stava stuzzicando, come ogni altra manifestazione della ricchezza e della posizione di Vogel.
«Calvo, intorno ai quarantacinque, cinquant’anni, con una cicatrice sul labbro superiore?»
Nathan annuì, tendendo le proprie mani legate verso di lui, anche se il suo sguardo era già indirizzato verso la buca nel terreno e il cimitero intorno a loro. Non gli piaceva il modo in cui Nathan stava velocemente impallidendo.
Robert deglutì forte, decidendo di non spingerlo oltre. Tagliò le corde che gli tenevano legati i polsi, concedendosi il lusso di sfiorarli brevemente. «Stai bene?» Qualcosa nel modo in cui si comportava dava l’idea che lo stesse implorando di prendersi cura di lui. Era forse l’ingenua fiducia negli occhi di Nathan o il fatto che gli avesse salvato la vita? Chissà.
Nathan si circondò il petto con le braccia. «Non penso di avere qualcosa di rotto. Aspetta un secondo.» Infilò una mano in tasca, e Robert si irrigidì, temendo il peggio, ma l’unica cosa che estrasse fu… uno specchietto. Nathan si fissò nello specchio, aggrottando un sopracciglio perfetto. «Pensi che si sia rotto?» Si chinò verso Robert, indicandosi il naso.
Robert scosse la testa. «Non mi sembra che si stia gonfiando,» disse e lo trascinò con forza fuori dal sacco a pelo. Stava ancora tentando di accettare il fatto che Vogel avesse fatto sesso con un ragazzo. Quel ragazzo. Magari era stato ubriaco e se l’era fatta sotto quando aveva capito cosa esattamente aveva combinato?
Robert era davvero ubriaco adesso. E non importava quanto provasse a scacciare quei pensieri invadenti. Le mura, di solito così impenetrabili dentro alla sua testa, lasciavano passare immagini di corpi nudi. Quello pallido e massiccio di Vogel sopra a quel perfetto esemplare di essere umano, uniti in un movimento ritmico fino a quando tutto non fosse diventato una macchia sfocata.
Perché mai a un uomo come Vogel era concesso un premio simile, quando Robert se lo era negato per tutta la vita? Vogel e i suoi uomini erano stati chiari sull’argomento, tanto quanto lo erano stati la sua famiglia e i suoi amici.
Nathan lanciò uno sguardo alla fossa e Robert riuscì a percepire la sua angoscia quando lo aiutò a rimettersi in piedi. «Perché invece di seppellirli non scappiamo da qui e basta?» Terminò la frase con un tono che sembrava provenire da qualcuno molto più giovane.
Robert scosse la testa, massaggiandogli distrattamente le braccia attraverso le maniche della giacca. «No, assolutamente no. Tra poche ore il cimitero sarà aperto al pubblico e qualcuno vedrà questo casino e lo dirà alla polizia. Vuoi essere accusato di omicidio?» Staccò le proprie dita da Nathan e raccolse due pale, dandogliene una.
Almeno i riflessi del ragazzo funzionavano ancora, e curvò le spalle docilmente non appena prese in mano l’attrezzo. Il suo atteggiamento chiacchierino svanì non appena sbirciò davanti a sé.
Nathan era tutto intento a guardare la fossa scavata nel terreno, cosa che diede a Robert più tempo per analizzarlo. Non credeva di aver mai avuto a che fare con un uomo come lui, prima di quel momento. Anche se in difficoltà, Nathan era così bello, cazzo, che lui non riusciva a trattenersi dal pensarci. Niente poteva renderlo brutto: non il sangue rappreso e nemmeno le ciocche di capelli sudati appiccicati al viso. Un uomo del genere avrebbe mai potuto prenderlo in considerazione? Era andato a letto con Vogel, a meno che non avesse mentito. E, comunque, Vogel aveva una cazzo di villa sul lago e un milione di dollari in conti correnti in svariati paradisi fiscali.
Il grido di Nathan fermò il corso dei suoi pensieri. Il ragazzo lasciò cadere la pala e indicò i cadaveri. «Uno sta muovendo la mano,» strillò e, prima che Robert potesse rendersene conto, Nathan gli volò tra le braccia, prendendo fiato nell’incavo del suo collo.
Robert aveva avuto a che fare con uomini che lo avevano picchiato e insultato, che lo avevano guardato con paura, sottomessi e sdraiati per terra, o che avevano implorato la sua pietà, ma nessuno aveva mai ricercato la sua protezione in quel modo. O Nathan era completamente scemo o voleva morire, oppure era un sogno dal quale Robert non voleva mai più svegliarsi.
Distolse gli occhi e notò un movimento nel buio. Era appena percettibile, ma ovvio abbastanza da non confonderlo con un’illusione. Estrasse la propria pistola, guardandola con un leggerissimo sospiro. Se i suoi calcoli erano esatti, era rimasta solo una pallottola nel caricatore e quella pallottola era destinata alla propria testa, ma con Nathan che premeva il proprio corpo tremante e caldo contro di lui, la munizione restante poteva servire a qualcosa di meglio. Magari, proprio a tenerlo di nuovo al sicuro. Meritava di meglio, dopo tutto quello che gli era successo.
Una sensazione di calore si diffuse dal collo alla testa, trasformando i suoi pensieri sporchi in indicibili. Il fiato corto di Nathan che gli solleticava la pelle gli fece pensare a come sarebbe stato essere nudo con lui, a letto, e sentirlo ansimare per il desiderio, non per la paura.
Forse la pallottola destinata a Robert era, in realtà, per la testa di un’altra persona e quello era semplicemente il modo in cui l’universo gli stava dando un segno? Un adorabile omosessuale che aveva bisogno di lui e Robert che diventava la sua sola ancora di salvezza, proprio nella notte in cui aveva deciso di togliersi la vita. Qualcosa del genere poteva succedere per caso?
Sparò dritto nella fossa e, questa volta, tutti i movimenti sospetti cessarono. L’acciaio gli bruciò il palmo della mano umida, come quella parte di collo che era ancora vicino alla pelle delicata di Nathan. Le braccia magre dell’uomo si strinsero intorno a lui, come se fosse la sola persona in grado di tenerlo al sicuro, quella notte.
Quando il suo uccello iniziò a rispondere alla sua vicinanza, Robert capì che era arrivato il momento di allontanarlo.
«Inizia a scavare,» gli abbaiò in faccia, in modo più aggressivo di quanto intendesse. Non era mai stato bravo a farsi piacere dagli altri, non era mai stata una voce necessaria nel suo curriculum.
Magari, il giorno dopo, sarebbe stata una notte migliore per morire.