Strada senza ritorno

Non parlare con gli sconosciuti

Zak. Tatuatore. Indipendente. Non ama avere relazioni.

Stitch. Motociclista fuorilegge. Rifiuta la propria sessualità. Non ama condividere ciò che è suo.

Il giorno del divorzio di Stitch, la personificazione della lussuria entra nel bar dove lui sta festeggiando. Pieno di tatuaggi e piercing, sfacciato, e bello come il peccato, Zak è l’erezione che Stitch ha atteso per tutta la vita. Tutto quello che Stitch desidera è poterne assaggiare anche solo un morso. Quello che segue invece è un banchetto sensuale dopo il quale nulla sarà più come prima. Costretto a nascondere la sua nuova relazione al mondo intero, Stitch cerca di mediare tra famiglia, club e criminalità, ma è solo questione di tempo prima che diventi troppo difficile.

Zak si trasferisce a Lake Valley in cerca di pace e tranquillità, ma quando cade tra le grinfie di un Hound of Valhalla, la sua vita diventa tutto meno che semplice. Per poter stare con Stitch, il sogno erotico di Zak deve tornare a nascondersi. Per quanto quella relazione sia infuocata, i segreti, il doversi nascondere, la violenza, la gelosia e l’atteggiamento bigotto della città colpiscono Zak nel modo peggiore. Quando fingere di non sapere cosa fa il suo uomo diventa impossibile, Zak deve decidere se la vita con un motociclista fuorilegge è davvero ciò che vuole.

Quando la vita del club e le questioni sentimentali entrano in conflitto, tutto quello che rimane nelle vite di Zak e Stitch è il caso.


AVVERTIMENTI: Contenuti riservati a un pubblico adulto. Trama dettagliata, sesso, linguaggio esplicito, violenza, tortura.

POSSIBILI SPOILER:

TEMATICHE: Club Motociclistici, criminalità organizzata, omofobia, problemi famigliari, coming out, prima relazione gay, tatuaggi, piercing.

GENERE: dark romance omoerotico contemporaneo.

LUNGHEZZA: 100.000 parole (romanzo autoconclusivo, no cliffhanger).

Stitch ingollò la terza birra della giornata e appoggiò con forza il bicchiere sopra i documenti del divorzio.

«Un’altra?» chiese Captain, il suo migliore amico, e Stitch gli lanciò un’occhiata obliqua. Non era certo se Captain gli stesse facendo l’occhiolino o stesse semplicemente strizzando la palpebra. Gli svantaggi di avere un solo occhio. La cosa comunque non impediva a Captain di guidare la sua moto come un pazzo o di essere il vicepresidente del club.

«Un’altra, sì. Me la sono guadagnata,» borbottò Stitch e appoggiò i gomiti sul bancone unto. Nel bar degli Hounds of Valhalla poteva sentirsi a casa. Quando le cose si mettevano male, poteva addormentarsi in una delle stanze per gli ospiti sul retro e non essere costretto a tornare a casa.

Il caldo della Louisiana lo aveva convinto a indossare solo il gilet, ma a ben vedere non era stata una grande idea perché la pelle dell’indumento gli si era attaccata alle spalle.

Era un frenetico venerdì sera e il bar era pieno. La maggior parte dei clienti erano della zona, quindi Stitch li conosceva, in un modo o nell’altro, c’erano solo alcuni outsider sparsi in giro per la grande sala. Durante le feste pubbliche come quella, il Valhalla era aperto a tutti, dai vecchi amici, riuniti attorno ai tavoli comodi, fino alla folla che passava il tempo accanto al bancone e alle ballerine ubriache accanto al tavolo da biliardo. Era più rozzo che altro, ma per Stitch era tutto familiare, dal bancone rovinato alla piccola stanza sul retro dove aveva scopato con una ragazza per la prima volta. Bei tempi.

Captain gli versò del whiskey e ghignò, sistemandosi la barba scura. «Una è andata, fratello, ora devi trovarti una donna migliore.»

«Certo che la troverò. Una che non sia una puttana traditrice come Crystal.» Stitch sorseggiò il liquore con una smorfia.

«Ti piace qualcuna di quelle al tavolo da biliardo?» Captain indicò un punto oltre la folla di avventori.

Il tavolo da biliardo era off-limits il venerdì, a meno che tu non fossi un membro degli Hounds of Valhalla. O una puttanella attraente.

Stitch guardò il punto in cui il suo amico aveva indicato (per salvare le apparenze), ma il suo sguardo andò oltre le ragazze. Non avrebbe invischiato di nuovo il suo uccello in faccende del genere. Per non parlare del fatto che nessuna di quelle ragazze era il suo tipo. Molte di loro erano delle biondine graziose, come se fossero finite per caso nel bar sbagliato o qualcosa del genere. Era quello che lo aveva attirato di Crystal in un primo momento, era tutta tatuaggi e rock’n’roll.

«No, passo.» Stitch buttò giù il suo whiskey e cercò di fingere di non vedere gli sguardi che arrivavano dal tavolo da biliardo. Quello strano e improvviso interesse poteva significare una sola cosa: tutti sapevano che era tornato libero.

«Dov’è il rum, Captain?» disse, ma la bocca rimase aperta quando uno sconosciuto entrò nel bar e si fermò sulla porta, guardandosi attorno come se si fosse perso. La luce soffusa metteva in risalto i tatuaggi sulle sue braccia e, anche se Stitch non riusciva a distinguere i disegni, notò comunque che erano fitti e per lo più in bianco e nero.

L’uomo era alto abbastanza da spiccare sopra la folla, fisico asciutto ma muscoloso. Attraversò il bar con un’aria sicura di sé che lo faceva sembrare il personaggio di un film futuristico. Stitch non sapeva da dove venisse o se appartenesse a qualche club perché il ragazzo indossava abiti semplici: dei pantaloni stretti infilati in stivali da combattimento alti fino al ginocchio e una canottiera, ma sembrava fuori posto in quel bar di motociclisti vecchio stile. Aveva i capelli neri rasati ai lati, mentre le ciocche lunghe in cima alla testa erano raccolte in un codino. Un leggero sorriso gli curvava l’angolo della bocca mentre, tra tutte le persone, si avvicinava proprio a Stitch.

Un ghigno idiota affiorò sulla faccia dell’uomo, come un corpo morto che galleggia in una palude. Se avesse potuto scegliere, quello sconosciuto sarebbe stato il suo programma per la serata.

Sapeva che non sarebbe successo, eppure si raddrizzò sullo sgabello da bar troppo piccolo per reggere adeguatamente il suo corpo massiccio, e si rivolse allo sconosciuto. L’uomo fu il primo a parlare, ma guardò Stitch come se fosse fatto di vetro.

«Ciao, come te la passi?» chiese, con la sua voce piena e vellutata, allungando una mano per stringerla a Joe, uno degli Hounds of Valhalla, che al momento stava servendo al bar.

Joe aveva corti capelli biondi e un piccolo spazio tra i denti anteriori; Stitch lo aveva sempre visto come il fratello minore che non aveva mai avuto.

Joe sorrise al ragazzo tatuato e gli strinse la mano. «Cosa ti porto?»

Stitch non aveva mai tolto gli occhi di dosso al ragazzo, sperando di attirare la sua attenzione. Il nuovo arrivato aveva grandi occhi del colore del cielo d’estate, sopracciglia marcate sopra un naso deciso e dritto, e labbra pallide e grandi.

Era un bellissimo volto, eppure Stitch in qualche modo aveva pensato a uno spirito maligno, forse a causa dei piercing sul suo viso. Aveva due sfere su entrambi i lati del naso, in mezzo agli occhi, e un anello con una pietra rossa alla narice, poi ancora un piercing sul sopracciglio sinistro e un anello di metallo al centro del labbro inferiore. In contrasto con le dimensioni moderate dei piercing sul viso, il ragazzo portava grosse spirali inserite nei lobi delle orecchie che li allungavano oltre le loro dimensioni naturali.

«Una birra sarebbe perfetta,» disse lo straniero con un sorriso. «Senti, sono nuovo in città. Pensi che qui ci sia bisogno di un negozio di tatuaggi?»

Una goccia di sudore scivolò lungo la schiena di Stitch, fino al retro dei pantaloni, come una mano invisibile.

«Dagli una birra, Novizio.» Stitch fece un gesto verso Joe, senza mai staccare lo sguardo da quel bel corpo tatuato. C’erano così tanti disegni sulla pelle dello sconosciuto che lui non era certo dove focalizzare l’attenzione. «Dovresti chiedere a qualcuno che ha già dei tatuaggi, non al piccolo Joe.»

«Ah, sì?» Gli occhi dello straniero si puntarono su di lui ma poi si abbassarono subito e Stitch sentì il calore montargli nel petto, sotto il tatuaggio con il teschio e il fuoco, dove lo sconosciuto stava guardando. «E immagino saresti tu.»

«Già, conosco un sacco di persone a cui piacerebbe avere un buon tatuatore. E immagino saresti tu.» Stitch sorrise e non poté fare a meno di contrarre gli addominali.

L’uomo gli rivolse un sorriso sghembo, continuando a guardare verso il suo petto, poi sollevò lo sguardo e gli tese la mano. «Sono Zak.»

«Stitch.» Ricambiò la stretta della mano di Zak con un sorriso, assicurandosi di non stringerla troppo a lungo. Joe mise una birra sul bancone mentre Captain passava a Stitch un bicchiere di rum che odorava come l’erba gatta dei pirati.

«Oh, io so di un tatuaggio che Stitch vorrebbe coprire!» ridacchiò Captain.

Stitch si accigliò, sapendo esattamente cosa intendesse il suo amico e immaginando di spaccargli la testa per aver nominato l’innominabile.

Zak sollevò le sopracciglia e prese la bottiglia, battendola pesantemente contro il piercing. «Sputa il rospo.»

Stitch bevve un sorso di rum e colpì Captain alle costole, così forte che il suo amico urlò. «Okay, okay, Novizio, sparisci,» ordinò a Joe, e il ragazzo si allontanò dal lato opposto del bancone per andare a importunare altri clienti. Stitch si alzò dallo sgabello e si concesse un secondo per invadere lo spazio personale di Zak, prima di superare il bar e fare cenno all’uomo di seguirlo. Era un bene avere libero accesso, lo faceva sentire come se fosse il proprietario dell’intero posto. «Ho divorziato proprio oggi. Quindi ho bisogno di liberarmi di un peccato d’amore.»

«Sembra interessante.» Zak gli andò dietro e Stitch notò che il bellissimo straniero era anche più alto di lui. Appena furono scomparsi dietro al bancone, l’uomo si tese in avanti, inondando Stitch con il profumo fresco e muschiato della sua colonia. «È sul tuo uccello?»

Stitch ridacchiò e fece l’occhiolino a Captain. «No. Quasi.»

Stitch aprì la grossa fibbia a forma di teschio che chiudeva la sua cintura e fece per abbassare la zip dei jeans. Stava cercando di non essere troppo eccitato e non essere solo con il ragazzo lo aiutava a mantenere la calma. Ad ogni modo, il suo cazzo non si sarebbe avvicinato a Zak più di così.

«Quindi, cosa vorresti farti tatuare?» chiese Zak, abbastanza forte perché Stitch potesse sentirlo al di sopra del rumore.

«Non ci ho ancora pensato.» Stitch si abbassò i pantaloni abbastanza per mostrare il tatuaggio sulla parte interna del fianco, quasi vicino al pube. Prese il cellulare e attivò lo schermo per illuminarlo per Zak, che si chinò senza troppe cerimonie, ritrovandosi con il viso ad altezza del cavallo di Stitch, cosa che fece fermare il cuore dell’uomo anche se solo per un breve momento.

«Sì, non dovrebbe essere un problema.»

Captain cominciò a ridere così forte che Stitch si tese da sopra al bancone per colpirlo alla testa. «Piantala!»

«Scusa, amico, ma sembrava proprio…»

«Lo so cosa sembrava,» Stitch grugnì e abbassò lo sguardo su Zak. «Bene. Prenderò un appuntamento, allora,» cercò di mantenere ferma la voce e si tirò su i pantaloni.

Zak si tirò su, senza far caso alle battute ed estraendo un biglietto da visita che porse a Stitch. «Dai un’occhiata al mio portfolio, prima.»

«Lo farò. Ma qualsiasi cosa sarà meglio di quel fottuto nome. Preferirei avere tatuata la faccia di Captain.» Stitch indicò l’amico. Un corpulento bastardo con un occhio solo, la barba nera e i capelli disordinati. Sì, avrebbe preferito quel brutto grugno al nome di Crystal. Si allacciò la cintura e uscì dal retro del bancone.

«Il ritratto della devozione,» ridacchiò Zak, seguendolo. «Siete soci di questo bar?»

«Domandina: come si chiama questo posto?» Stitch tornò a sedere sullo sgabello e recuperò il bicchiere di rum.

Zak strizzò le palpebre. «Valhalla.»

Stitch si voltò e gli mostrò il retro della giacca. Era sempre orgoglioso di farlo. La scritta Hounds of Valhalla campeggiava sopra il disegno di un cane che saltava attraverso il simbolo triangolare del Valknut. Un mastino con più denti di quanti ne avesse qualsiasi animale. «Come puoi vedere siamo tutti comproprietari.» Prese un altro sorso di rum e urtò il bicchiere contro quello di Captain.

Zak scosse il capo. «In questo caso, il mio destino è nelle vostre mani, signori,» disse con un sorriso. «Posso lasciare qualche volantino e una locandina? Lo studio è a casa mia.»

«Certo,» Stitch batté la mano contro il bancone. «Avrò lo sconto divorzio?»

Zak ridacchiò e si morse il labbro, guardandolo divertito. «Se mi prometti di farmi da modello, farò il lavoro gratis.»

«Sentito, Stitch?» Captain sputacchiò il rum. «Hai fatto colpo, ti farà il lavoro gratis.»

Una sensazione di calore risalì lungo il petto di Stitch e lui evitò quei grandi occhi azzurri. «Sta’ zitto Cap, se non vuoi che ti rompa i denti. Questa è la mia serata, ricordi?» ringhiò verso Captain. L’ultima cosa che voleva era che Zak si facesse qualche idea stupida. «Se è gratis, verrò domenica. Farai meglio a non essere una merda, però.» Finalmente guardò versò Zak, ma non vide alcuna traccia di timore sul suo bel viso.

«Non lo sono,» disse lui, tranquillo come sempre.

«Lo vedremo. Fa’ pure, lascia i volantini.» Stitch si sporse a guardare Zak che si voltava solo per potergli adocchiare il culo nei pantaloni attillati.

Il ragazzo gli diede una pacca decisa sul braccio. «Vado a prenderli, sono in macchina.» Fece un cenno a Captain e Joe e si voltò, con la birra ancora in mano.

Aveva un bel culo. Rotondo ma proporzionato, e sotto ai jeans neri sembrava sodo come una gomma nuova.

Stitch si leccò le labbra, desiderando di poter fare qualcosa di più che guardare. «Voglio vedere che macchina hatorno subito,» disse a Captain ed era già il lupo che seguiva la pecora nera.

Zak saltò giù dal portico come una gazzella e si fece strada attraverso il prato che fungeva da parcheggio.

Stitch serrò i pugni, notando una macchina che non aveva mai visto in città. Non ne era certo, dato che era buio, ma sembrava una Chevrolet degli anni Settanta, nera con fiamme disegnate sulle fiancate. Se Satana avesse guidato una macchina, sarebbe stata quella.

La macchina era così bella che distrasse Stitch dal culo di Zak. Si diresse verso il lato dell’automobile e si spostò per poter guardare meglio il disegno, poi sentì il suono di qualcuno che si schiariva la gola.

«Posso aiutarti?» chiese Zak e all’improvviso il suo sguardo sembrò bruciare contro la schiena dell’uomo. Stitch non riuscì a trattenere un ghigno e si voltò.

«Bella macchina.»

«Grazie. Un amico mi ha fatto i disegni come regalo di compleanno.» Zak si appoggiò all’auto, il corpo sottile sembrava fondersi al veicolo.

Con i lampioni abbastanza vicini, Stitch poté guardare meglio anche i bellissimi tatuaggi sul suo corpo. C’erano delle persone mascherate disegnate sulle braccia di Zak, ricordavano quei dottori da film dell’orrore dove i personaggi venivano seviziati con esperimenti chirurgici e il pensiero provocò a Stitch un brivido.

Sull’altro bicipite c’erano pillole e siringhe che fluttuavano attorno a un uomo in una camicia di forza che sembrava rannicchiato in un angolo, ma ciò che attirò davvero l’attenzione di Stich fu la frase tatuata alla base del collo del ragazzo.

Si avvicinò per guardarla meglio. «Non parlare con gli sconosciuti,» lesse a voce alta, toccando le parole. «Non segui il tuo stesso consiglio.»

Zak ridacchiò e abbassò lo sguardo sul dito posato sul suo collo. «Lo so. Ed ecco cosa ottengo: un grosso motociclista chinato accanto alla mia macchina.»

Stitch ritrasse il dito. Troppo contatto. Eppure il ragazzo non sembrava spaventato. «C’è una storia dietro quel tatuaggio? Un avvertimento per te stesso o per gli altri?»

Zak scrollò le spalle, guardando Stitch con un accenno di sorriso. «Me lo sentivo dire spesso da bambino. E, guarda caso, è anche il titolo del primo capitolo del mio libro preferito. Tutti i miei tatuaggi sono ispirati a quel romanzo.»

«Davvero? Di che libro si tratta?» Stitch accarezzò il retro della macchina nello stesso modo in cui avrebbe voluto toccare la pelle tatuata del ragazzo.

«Hai mai sentito parlare de Il Maestro e Margherita? Parla di demoni che gettano nel caos la Mosca stalinista e c’è un risvolto romantico, tra il Maestro e Margherita, ovviamente.» Sospirò, spostando la mano sul lato della macchina, dove Stitch teneva la sua.

La pelle d’oca esplose per tutto il corpo di Stitch. Non aveva idea di quale fosse il libro di cui parlava Zak o perché lui fosse interessato a una storia d’amore nella Mosca comunista, ma quel ragazzo avrebbe potuto dirgli che era una storia sul cavallo mutaforma della Corea del nord e sarebbe stato ugualmente interessante. «Cosa ti piace di quel libro? E che succede se parli con gli sconosciuti?»

Zak si rilassò contro la carrozzeria della macchina e più Stitch lo guardava, più gli piaceva la sua faccia bellissima e in qualche modo arrogante. «Beh, è un’allegoria su come tutti si sentissero spiati e controllati in quel periodo, ma nel capitolo di cui ti dicevo questo ragazzo incontra uno straniero che in realtà è il diavolo. Si mettono a parlare e lo straniero rivela che il ragazzo russo sta per morire. Non è una cosa razionale e il ragazzo non crede a Satana ma poi muore qualche pagina dopo. Scivola su una chiazza d’olio e un tram gli taglia la testa,» concluse Zak con un ampio sorriso.

«E la morale sarebbe: non parlare con gli sconosciuti?» borbottò Stitch. «Non succede niente al diavolo, poi?»

Zak si avvicinò e premette un dito affusolato contro le costole di Stitch. «No, è il diavolo, dopotutto. Salva il Maestro.»

L’uccello di Stitch provò un fremito di eccitazione a quel tocco e l’uomo indietreggiò, fingendo di voler guardare meglio la macchina. «Non ti spaventa l’idea di parlare con un demone?» Fissò il ragazzo negli occhi.

«No, il diavolo è equo. Sono le persone attorno a te che ti prendono per la gola e non vogliono che tu superi qualche limite prestabilito. Questo è il senso di quel romanzo, secondo me.»

«A volte anche il diavolo ha dei limiti…» Stitch inclinò la testa di lato. Non era più sicuro di cosa stessero parlando davvero e immaginò che fosse meglio troncare quella conversazione.

«Davvero?» Zak si morse il labbro inferiore e indietreggiò verso il bagagliaio. «Lui è il diavolo,» disse, aprendolo.

Stitch giocherellò con i distintivi. «Allora immagino possa fare quello che gli pare…»

Zak tirò fuori una risma di volantini e richiuse il bagagliaio per poi tornare verso Stitch. «Dovrebbe essere il mio motto, comunque.»

«Allora forse dovrebbe essere non dovrei parlare con gli sconosciuti.» Stitch gli tese la mano e Zak gli passò i volantini.

«Per adesso è andata bene.» Zak sorrise e il silenzio che seguì sembrò stranamente lungo.

Stitch deglutì. «Allora… okay, fa’ il bravo, Zak, non parlare con gli sconosciuti.» Prese i volantini e si voltò, prima che il rum che aveva in circolo potesse spingerlo a fare qualcosa di avventato. Qualcosa si era smorzato e lui non riusciva ad afferrare cosa.

Camminò diritto verso il bar senza voltarsi, nel caso Zak lo avesse guardato di nuovo in quel modo che gli faceva ribollire il sangue. Captain non aveva mosso un muscolo da quando il suo amico lo aveva lasciato, ma afferrò uno dei volantini appena Stitch posò la pila sul bancone.

«Allora, com’è la sua macchina?»

«Cazzuta. È una vecchia Chevy riverniciata.»

Captain guardò i volantini e all’improvviso diede una pacca sul braccio di Stitch. «Pensavo ci steste dando dentro, in quel momento,» disse, indicando il retro del bancone.

Stitch gemette. «Andiamo, il ragazzo sembra a posto.» Eppure non riusciva a riscuotersi dalle strane sensazioni che gli aveva trasmesso Zak.

«Un po’ strano, però. Che ci fa a Lake Valley, con tutti i posti che ci sono?» Captain mandò giù il suo liquore. «Magari viene da un posto molto diverso, ma dovrebbe stare più attento. Capisci che intendo?» chiese, abbassando le palpebre pesanti.

Stitch prese un profondo respiro. «Sì. Forse non se rende conto, ma qualcuno potrebbe non capire le sue battute.»

Captain vuotò la piccola bottiglia di whiskey nel bicchiere e la tappò con le sue dita spesse. Voltò la testa e Stitch si ritrovò a fissare la benda per l’occhio con sopra il simbolo del club. «Hai sentito cosa è successo a quel motociclista frocio su a Edmonton? Ho un amico nei Rippers.»

Stitch dovette usare tutto il suo autocontrollo da ubriaco per annuire. Non voleva ascoltare. «Cosa?»

Captain gli rivolse un largo ghigno. «Dei tipi volevano dargli una lezione e hanno un po’ esagerato. Dopo essere stato trascinato nudo attaccato a una moto, qualsiasi uomo perderebbe interesse a stare in sella. Non ha più pelle sul culo, adesso. Immagino sia una fortuna per un frocio.»

«Già.» Stitch spinse via il bicchiere vuoto e afferrò l’intera bottiglia di rum. Non sarebbe mai capitata una cosa simile a lui, sapeva come tenerselo nelle mutande. Non si sentiva poi così gay, dopotutto.

«Già, sapeva in cosa si stava cacciando. I Rippers non scopano in giro.»

«Esatto, che si fotta. Meglio se dici al tuo nuovo amico di stare attento, quando lo vedrai domenica. Alcune persone non coglierebbero il suo senso dell’umorismo.» Captain scrollò le spalle e sorseggiò il whiskey con un sorriso compiaciuto.

Stitch sbuffò. «Glielo dirò mentre mi guarda l’uccello. Non è di queste parti, deve trasferirsi.»

Rimase tranquillo per un po’, godendosi la musica del jukebox in sottofondo e bevendo il suo rum. «Riguardo a quel tizio dei Rippers, come l’hanno scoperto?»

Captain appoggiò il bicchiere sul bancone. «Quel tipo che conosco ha detto che qualcuno lo ha visto scoparsi un ragazzo nel cesso di una stazione di servizio. Secondo me, se l’è cercata.»

Stitch annuì e guardò verso la porta attraverso la quale era comparso Zak.

Del tutto off limits.

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